LA MARCIA DI RADETZKY

Stavo rileggendo, l’ultimo dell’anno, le pagine finali della rigorosa biografia dedicata da Franz Herre, giornalista e storico tedesco tuttora vivente, alla grande figura di Francesco Giuseppe d’Asburgo…poi, l’indomani, ecco il Concerto di Capodanno diretto a Vienna da Riccardo Muti, suggellato dall’immancabile “Radetzkymarsch”; sicché, non ho potuto resistere a questo punto all’impulso di rileggere ancora una volta il fortunato e famoso romanzo di Joseph Roth, LA MARCIA DI RADETZKY del 1932, libro molto amato da sempre. Perché Roth rimane un fior di narratore, capace di risvegliare, con il suo tocco elegante ed elegiaco, gli aspetti più sottili, finanche trascurabili del reale. Nel caso del romanzo in oggetto, peraltro, si coglie fin dall’inizio un reiterato animismo particolarmente funereo delle cose, capace di intridere di sé la storia di tre generazioni dei Trotta, da Solferino sino al divampare della Prima Guerra Mondiale, con il conseguente crollo dell’impero asburgico. La “Finis Austriae” rievocata nel romanzo da Roth coinvolge in effetti il lettore irresistibilmente, credo di poter dire; in virtù soprattutto di una capacità peculiare dell’autore, ovvero quella di saper trasformare in stilema letterario indimenticabile il sentimento della fine personificando la morte. E proprio tale morte personificata nelle pagine della MARCIA DI RADETZKY mi ha indotto a riflettere -curioso non averlo pensato finora da parte mia!- al più che verosimile debito di Dino Buzzati (altro autore da me molto amato) nei riguardi di Roth. Nella cronologia del “Meridiano” dedicato al grande autore del DESERTO DEI TARTARI si parla infatti della lettura buzzatiana di Kafka, di Hoffmann; degli scrittori grandi e meno grandi, insomma, che possono averlo influenzato in relazione a quei caratteri gotici, arcani e come sospesi dal tempo laddove domina la Morte, così come si percepisce in tanta sua scrittura (lampante in merito l’approssimarsi della Signora di nero vestita che si avvicina a Giovanni Drogo nel finale del DESERTO). Si parla, ripeto, nella suddetta cronologia, degli autori citati ma non di Roth, Roth che secondo me dev’essere stato letteralmente “divorato” dal lettore Dino Buzzati; in quanto non altrimenti potrei spiegarmi l’ambientazione di “frontiera”, vagamente asburgica e atemporale del DESERTO, così simile a quella in cui si trova a un certo punto a vivere i suoi squallidi e tetri giorni il non-eroe della MARCIA, il terzo e ultimo dei Trotta, ossia Carl Joseph, precedendo di poco nella morte l’Imperatore Francesco Giuseppe a conflitto mondiale cominciato. Magari questa mia percezione sul rapporto Buzzati Roth sarà già stata colta, -confesso di ignorarlo- nonché documentata a livello critico; ma bello rimane in una rilettura, quella da me ieri terminata della MARCIA, sentire dentro di sé il fitto e ideale dialogo imbastito da scrittori amati.

 

Andrea Mariotti

 

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