Il sette a sera scorso ho seguito come tanti in diretta credo, su Rai 5, dalla Scala di Milano, l’ottima interpretazione della Nona Sinfonia di Beethoven da parte di Riccardo Chailly, in occasione dei duecento anni dalla prima esecuzione della partitura a Vienna. Ebbene, a conti fatti, non posso che dare ragione una volta di più al grande musicologo Giovanni Carli Ballola il quale, nella sua rigorosa monografia sul Maestro ci rammenta come, sulla base dei famosi “Quaderni di conversazione”, il compositore per primo fosse consapevole della non felice fusione fra parola e musica, naturalmente alludendo al celeberrimo “Inno alla Gioia”; parte conclusiva di tale Sinfonia, detta per l’appunto “Corale”. Gli appunti del genio di Bonn in detti ‘Quaderni” sono inequivocabili, a proposito soprattutto della composizione, interrotta dalla morte, di una Decima Sinfonia di nuovo esclusivamente strumentale. Siamo onesti, in effetti: vogliamo raffrontare un certo rude clangore fin troppo militaresco della parte corale della “Nona”, con l’altezza, questa sì davvero celestiale, dell’ Andante quasi cantabile (terzo movimento di essa) laddove, come osserva acutamente Ballola, risultano vinte tutte le “scorie” di lavorazione dell’ardua materia musicale? Non ne faccio mistero: sono fra coloro, non certamente l’unico, che ravvisa invece negli ultimi Quartetti per archi la vera e compiuta sublimazione del cosiddetto terzo stile beethoveniano (assieme ovviamente alle ultime tre sonate per pianoforte nonché le “Variazioni Diabelli”); cogliendo, tornando alla pur altissima “Nona” una certa retorica tribunizia nella parte finale di essa, congiunta per istinto al tempestoso genio in effetti essenzialmente strumentale di Beethoven. Una retorica insita in tale partitura e che si fa evidente allorché subentra il canto, e forse accettata un po’ acriticamente da generazioni e generazioni di ascoltatori, mi permetto di dire. Beethoven rimane, ne sono ben consapevole, il nostro compositore più arduo, e davvero nostro contemporaneo, un musicista che sempre ci precede. Ma, valori musicali alla mano, sono fra quegli ascoltatori che nutre delle riserve sulla succitata Nona Sinfonia, per me non il capolavoro assoluto di Beethoven, pur se, per molti versi, opera innegabilmente di rottura e di potenza, com’è stato detto spesso, michelangiolesca. Vorrei aggiungere, in conclusione, che nella citata monografia di Ballola, l’ indimenticabile “brusio” iniziale della “Nona” viene ricondotto a quello della partitura di un altro genio, Mozart, e precisamente all’avvio dell’inquietissima e celeberrima Sinfonia in sol minore K 550 del 1788; laddove, come è stato più volte osservato, l” urgenza del “dire” è un tutt’uno con la purezza formale delle spigolose architetture musicali dalle quali essa è caratterizzata.
Andrea Mariotti