Lo scorso 16 febbraio è andato in onda in prima serata televisiva su Rai TRE un bellissimo e pluripremiato film di Xavier Giannoli, “Illusioni perdute” (2021), tratto dal capolavoro di Honoré De Balzac; un film da me molto apprezzato per la sua viscontiana fedeltà a tale narrazione. Nel caso mio parlerei di una serata davvero particolare, in piena lettura com’ero ancora del romanzo balzachiano, vetta com’è noto (ma non l’unica) della COMMEDIA UMANA. Nessun problema da parte mia nel riconoscere che mai mi ero avvicinato ad un’opera letteraria del genere che in ogni caso andrebbe riletta nell’età matura. La vicenda del giovane e fatuo poeta di provincia Lucien de Rubempré -di sconcertante attualità- che vede amaramente stroncati nella metropoli parigina i suoi smodati sogni di gloria è comunque ben conosciuta ed esemplare, ambientata com’è nella Francia della Restaurazione prima del 1830. Mi piace però qui fare il nome di chi mi ha indotto a questa lettura, un nome dei più venerati come quello di Dostoevskij, al quale ho dedicato un post molto sentito lo scorso Natale dopo aver riletto “Delitto e castigo”. Ebbene Dostoevskij provava una grandissima ammirazione per Balzac e, diciassettenne, tradusse in russo “Eugenia Grandet” per dirne una. Sicchè, con l’anno nuovo, forte è stato l’impulso da parte mia a immergermi in un romanzo della portata di “Illusioni perdute”; davvero al centro della COMMEDIA UMANA per quella sua sconcertante attualità, come detto sopra, in grado di illuminarci a dovere circa la comprensione di questo nostro tempo che vola così basso a livello socio-politico, con inevitabili riflessi sul piano dell’industria culturale. Significativo il fatto -giusto rammentarlo- che contro la penna da subito avvelenata di un principe della critica come Sainte- Beuve nei confronti di un romanziere troppo realista, pessimista e impuro quale Balzac si levò alta di contro, fra tutte e “sine die”, la voce di Baudelaire, capace di vedere nell’autore della COMMEDIA UMANA un “visionario”; per tacere dell’alta considerazione verso il romanziere da parte di Marx ed Engels, in merito, in sintesi estrema, alla “capitalizzazione dello spirito” impietosamente e acutamente descritta nelle pagine delle “Illusioni perdute”. Balzac legittimista moderato dopo la Rivoluzione delle giornate parigine del luglio 1830; Balzac in grado di infondere ai suoi spregevoli personaggi come pure alle sue (non tantissime) candide creature una carica vitale indimenticabile per il lettore. Così che valgono imperiture le parole di Victor Hugo in morte del genio della COMMEDIA UMANA: “era appartenuto, l’avesse voluto o no, alla razza forte degli scrittori rivoluzionari”. Una lode particolare, in conclusione, alla illuminante introduzione al romanzo balzachiano da me letto nell’edizione “Grandi Libri” della Garzanti e dovuta al francesista Lanfranco Binni, figlio dell’illustre studioso Walter.
Andrea Mariotti