Ricordo bene nell’estate del 2020 come un senso di vertigine all’improvviso, sul balcone di casa, seduto a rileggere, dal non vicino tempo della giovinezza, le pagine sublimi della “Leggenda del Grande Inquisitore”, vetta insuperata dei FRATELLI KARAMAZOV di Dostoevskij: senza esagerare, mi sembrò a un certo punto di volare, sorretto in aria dalla bellezza inestimabile di tale “Leggenda”; da reputare fra i vertici della letteratura universale secondo Sigmund Freud. Ciò per dire che posto occupi, nella mia considerazione, il succitato romanzo, capolavoro di un autore che davvero ha rappresentato per me come per molti, me ne rendo conto, il fuoco autentico della giovinezza, fuoco d’iniziazione, direi, alla sacralità della Letteratura. Ciò premesso, mi preme parlare adesso di un’altra rilettura terminata poco prima di questo Natale: quella di DELITTO E CASTIGO, primo dei grandi romanzi che formano la cosiddetta tetralogia di Dostoevskij, includendo L’IDIOTA, I DEMONI e per l’appunto i KARAMAZOV. Ebbene a rilettura finita di DELITTO E CASTIGO, mi sento di dare del tutto ragione a Leonid Grossman, insigne studioso del grande romanziere, per quanto da lui sostenuto nel saggio introduttivo all’edizione Einaudi in mio possesso. In breve, per lo studioso, proprio DELITTO E CASTIGO è il romanzo artisticamente più perfetto di Dostoevskij: agendo in esso, per riverbero costante, la fresca e perenne rivelazione che la sua stesura ha trasmesso all’autore in quanto ad altezza del proprio genio; genio finalmente estrinsecato in compiuta profondità e ampiezza. Ma, soprattutto, e questo mi sembra rilevantissimo, in DELITTO E CASTIGO Dostoevskij si rivela, per Grossman, “pittore rapido” di fisionomie e paesaggi e accadimenti; nonché moti d’animo, riflessioni e dialoghi dei personaggi; con effetto felicissimo di un dinamismo per molti versi smarrito nelle grandi e più “filosofiche” opere successive, inclusa la maestosa epopea dei KARAMAZOV; invero narrazione fin troppo carica di digressioni, pur nella sua sublime altezza sulla quale non è il caso ora di insistere. Insomma le parole dello studioso in questione mi hanno fatto comprendere al meglio il superiore “piacere del testo” offerto da un romanzo come DELITTO E CASTIGO: dove la proverbiale incandescenza-incarnazione delle idee, aspetto sommo e saliente dell’arte di Dostoevskij, qui fermentante nel protagonista Raskòlnikov, non è mai statica bensì in movimento, in relazione vivente con l’umano paesaggio pietroburghese; ché Raskòlnikov costituisce a conti fatti la vera e propria coscienza unificante di un narratore finissimo nell’entrare e nell’uscire dal suo eroe- criminale-filosofo: narratore davvero capace di non farsi sfuggire di mano nessuna delle sue digressioni, e di scolpire con grande forza altri memorabili caratteri oltre a quello del protagonista in una vicenda mirabilmente coesa; tale, essa, da risultare infine un vivido e memorabile affresco della Pietroburgo degradata e corrotta del 1865. Tutto ciò in effetti rappresenta il fascino di una lettura che ha stregato da sempre milioni di lettori, ne sono consapevole; ma una rilettura del romanzo in oggetto a questo punto proprio ci voleva; non tacendo in ultimo della commozione suscitata in me dalle pagine finali, nel momento in cui Raskòlnikov si getta ai piedi di Sonia dichiarandole il suo amore, dopo tanto, troppo tormento; dopo essere rimasto così a lungo stritolato dalle spire del “nero serpente dell’amor di sé ferito”.
Andrea Mariotti