ARIA DEL TENORE
Andante,
un poco convulso.
Col fucile spianato.
Ai ferri corti, ormai.
Ciascuno dietro il tronco
d’un leccio.
Si spiavano.
A pochi passi.
Mai
un’allegria più ardente
li aveva colti.
Si amavano,
quasi.
Coivano.
Nell’odio che li inceneriva, quasi
avrebbero voluto abbracciarsi
prima di sparare.
Può darsi
che faccia di questi scherzi
l’amore, quand’è totale.
Intorno, non un animale.
Non un’ombra.
Soli.
Si mise a nevicare.
Lepri bianche.
Bianche
felci, fra ginepri
da Albero di Natale.
Tutto un bianco mentale
di bianca infanzia.
Un mare
bianco di gioia, fra i lecci
che restavano neri
nel bianco dei pensieri.
Si odiavano, inteneriti
fratelli.
Abele
e Caino
In ruoli
reversibili.
Immagini
d’uno stesso destino
o amor perfetto.
Soli!
Un uomo solo in due.
Due uomini in uno.
Due io affrontati.
Un solo io.
Godevano.
Forse, tutti e due sapevano
che l’uomo uccide se stesso
-l’uomo- uccidendo l’altro?
Orgasmo del suicidio.
Nel lento stillicidio
dell’ora, centellinavano
la propria morte.
Soli!
Ancora nevicavano
lepri di silenzio e felci.
Da un anno si braccavano,
nei luoghi dove più vivo
era il trambusto.
Al porto.
Alla stazione.
Nel torto
budello della city.
Invano.
La macchia gli aveva dato una mano.
Offerto l’occasione.
Ora, assaporavano lenti
l’attimo.
Finalmente giunta
l’ora dell’uccisione.
Col fucile spianato.
Ai ferri corti.
Li colsi
di soprassalto.
Nessuno
dei due voleva per primo
scaricar l’arma.
Premetti
a bruciapelo il grilletto.
Li vidi cadere insieme
sotto la raffica.
L’urlo
che alzarono, mi colpì in petto
come piombo.
Fuggii.
Mi brucia nella memoria,
ancora, la mia vile vittoria.
GIORGIO CAPRONI, DAL “FRANCO CACCIATORE”, 1982.