SU BEATRICE CENCI

Davvero più che mai “stupenda e misera città” è Roma, con il suo traffico pazzesco e il suo attuale, crescente degrado, per dirla con un celebre verso di Pasolini che mi è tornato in mente questa mattina, quando ho trovato finalmente il tempo di recarmi al Monte dei Cenci; al culmine del quale spicca il portale del palazzo che si vede nella mia foto. Palazzo in cui nacque nel febbraio 1577 Beatrice Cenci, dirimpetto alla cappella gentilizia di San Tommaso de’ Cenci: nella piccola, isolata piazzetta dove ho creduto di percepire con la mia immaginazione quella che, antropologicamente, si potrebbe definire l’impronta psichica del luogo; una impronta inconsolabile e dolente nel silenzio del mezzodì. La vicenda della nobildonna romana giustiziata a ventidue anni assieme alla matrigna Lucrezia Petroni e al fratello Giacomo nel settembre del 1599 in piazza di Ponte Sant’Angelo, è troppo nota per essere qui sia pur sommariamente ricordata. Ancor più superfluo rammentare il commosso interesse suscitato dalla sua figura in autori come Dumas padre, Stendhal, Shelley, Artaud e Moravia, per tacer d’altri (e di svariati studiosi, fra i quali è giusto per me fare il nome almeno di Corrado Ricci). La ragione del mio piccolo “pellegrinaggio” è presto detta. Sul finir della scorsa estate, dopo aver letto la bellissima e rigorosa biografia su Torquato Tasso di Fabio Pittorru del 1982, ho riflettuto parecchio sulla figura di Clemente VIII Aldobrandini: il papa che aveva promesso al nostro grande poeta l’incoronazione in Campidoglio nel 1595 (l’anno in cui però il Tasso nell’aprile morì); e sotto il cui pontificato venne arso vivo Giordano Bruno in Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600; non prima di aver dato il suo “placet”, Clemente VIII, circa la condanna a morte dei Cenci nel 1599. Da tutto ciò pertanto la mia lettura di una notevolissima biografia su Beatrice Cenci edita da Rusconi nel 1981, a firma di Norberto Valentini e Milena Bacchiani. Una biografia lucida, molto documentata nonché scritta in modo limpido e coinvolgente; tale da farmi immaginare in profondità, al di là dei puntuali dati storici, quei tempi estremamente cupi per le libere coscienze. Così che, dopo la visita di oggi, non mi rimane che rivedere ancora una volta ma con altri occhi la chiesa di San Pietro in Montorio al Gianicolo, dove la giovane e infelice Beatrice intese essere sepolta; e dove la sua tomba senza nome né pace venne profanata dalla soldataglia napoleonica nel 1798. In conclusione -almeno così mi piace pensare- occorre davvero recarsi al Monte dei Cenci, suggestivo “strappo” in salita a un passo dal Ghetto di Roma per immaginare un fanciulla, Beatrice, per troppo breve tempo giocosa; e che poi, nel testamento redatto il giorno prima della sua decapitazione, ebbe a riconquistarsi nell’animo una porzione di cielo, considerando la posizione elevata di San Pietro in Montorio (la chiesa in cui, durante il tempo in qualche modo spensierato del collegio condiviso con la sorella, più volte Beatrice era entrata per pregare, prima degli anni terribili che la attendevano). E proprio in ultimo: vi possono essere dei dubbi, mi chiedo, circa la stringente attualità della figura della Cenci, dopo aver letto ieri sera l’amara intervista rilasciata dalla sorella di Rosaria Lopez in merito alla serie televisiva sui tragici fatti del Circeo dell’autunno 1975? fatti che nulla sembrano avere insegnato a distanza di mezzo secolo ormai, in quanto a radicale rifiuto della violenza dell’uomo verso la donna.

 

 

P.s. La citazione pasoliniana dell’inizio di questo post è motivata dal fatto che non distante dal Monte dei Cenci si trova piazza Costaguti, primo “rifugio” romano del grande scrittore e regista nel 1950, una volta fuggito da Casarsa assieme alla madre Susanna dopo i penosi fatti di Ramuscello.

 

Andrea Mariotti

 

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