E quattro. Mi riferisco alle interpretazioni del “Clavicembalo ben temperato” di J.S. Bach ora in mio possesso, con l’ultima in ordine di tempo che mi sono procurato proprio in questi giorni, e cioè quella del clavicembalista Gustav Leonhardt (di cui avevo ascoltato nei mesi precedenti la nobilissima esecuzione delle “Suites inglesi”). Premesso che le due versioni per pianoforte del capolavoro bachiano (S.Richter e G.Gould) le ho accantonate da quel dì, ecco che mi piacerà brevemente dire qualcosa intorno alle due per clavicembalo, mettendo a confronto quella di Trevor Pinnock (registrata fra il 2020 e il 2021 per la Deutsche Grammophon) e appunto la succitata di Leonhardt. Ebbene quest’estate, ascoltando e riascoltando i cd di Pinnock, impeccabili per qualità del suono e perizia estrema del musicista, mi era sembrato di essermi avvicinato non poco allo spirito del sommo compositore tedesco che, come ben sappiamo, proprio col “Clavicembalo” realizza una perfetta fusione di estro e disciplina artistica. Poi, però, la sensazione di avere ascoltato qualcosa di fin troppo impeccabile; frutto per così dire di un elegante accademismo che non mi permetteva di intuire, sia pure oscuramente, il motivo dello stupore del Mozart maturo al cospetto di alcune “fughe” del “Clavicembalo”; nonché della tenacissima applicazione del giovanissimo Beethoven -prima di recarsi a Vienna- in merito a questo vero e proprio “Vecchio Testamento” della letteratura pianistica che è per l’appunto il capolavoro bachiano in oggetto. Ci voleva Gustav Leonhardt per provare l’emozione profonda di essere giunto in porto nelle vesti di ostinato ascoltatore, se così posso dire! Mi spiegherò in breve. In questa incisione del musicista olandese scomparso nel 2012 (che tra l’altro è il protagonista di un ascetico e introvabile film tedesco su Bach del 1967, “Cronaca di Anna Magdalena Bach”), i “preludi” del “Clavicembalo” sono meno melodiosi di quelli eseguiti da Pinnock; più grintosi, relegati a conti fatti al ruolo di apripista di ciò che veramente conta, ossia le “fughe”: severe quest’ultime; inesorabili, ferrigne, spigoli di roccia che, mi è piaciuto pensare, devono avere per l’appunto sconvolto Mozart e suggestionato a dismisura Beethoven giovinetto, i cui maturi “stacchi” –rimasti per sempre nella storia della musica- possono aver trovato proprio nel “Clavicembalo” la loro fertilissima incubazione. Quanto espresso finora per dire la differenza che passa fra il manierismo elegante di Pinnock e l’approccio filologico, preciso ma anche poetico di Leonhardt, capace di far vibrare la storia della musica sopra la propria stessa bravura, per capirci. Sto parlando, riferendomi a Gustav Leonhardt, di una registrazione del 1973 poi riversata in CD (dunque un “ADD”, anziché “DDD”). Poco male davvero, la registrazione è più che buona e la sostanza è quella che ho cercato di esprimere fin qui; in grado, ripeto, di procurarmi emozione profonda. Con Bach, con questo Bach, viene veramente voglia di un estetico naufragio su un’isola deserta… “Bach era veramente terribile!”, l’esclamazione di Mendelssohn cui dobbiamo, com’è noto, la riscoperta in epoca romantica di un capolavoro altissimo quale la “Passione secondo Matteo”. Questo il suggello di cui mi voglio servire qui per esprimere ancor meglio ciò che si prova quasi stritolati dalla “fuga” a cinque voci BWV 849 (in do diesis minore), dal Primo Libro del “Clavicembalo ben temperato” eseguita da Gustav Leonhardt (che tardi ho conosciuto, ma in tempo per apprezzarlo a dovere).
Andrea Mariotti
Una pagina -la tua- Andrea, direi “esplosiva” per l’ampiezza e la profondità dei contenuti: espressione di una elevata cultura musicale e di una profonda sensibilità. Bach -come ha affermato il musicologo Alberto Basso- “ha portato all’arte il più alto dei contributi e il dono di un’assoluta identità fra ispirazione e spirito costruttivo”. Complimenti vivissimi per l’articolo.
Ti ringrazio di cuore, Fiorella.