Questa mia foto di ieri, davanti al Monumento Funebre a Ludovico Ariosto, piano nobile di Palazzo Paradiso a Ferrara, riveste per me lo stesso contenuto simbolico di quella del marzo scorso a Ravenna presso la Tomba di Dante. Allora mi era sembrato significativo trovarmi lì, a conclusione del “viaggio” all’interno della DIVINA COMMEDIA durato più di un anno; così come ieri altrettanto sentito è stato recarmi a Ferrara, dopo aver finito da una settimana di rileggere l’ORLANDO FURIOSO (commento di Lanfranco Caretti) in cinque mesi circa. Era in effetti dai tempi della prima giovinezza che non mi immergevo totalmente nel capolavoro ariostesco; e rileggerlo quasi alle porte della vecchiaia mi ha arrecato un meraviglioso nonché consapevole diletto, soprattutto in un “annus horribilis” come quello ormai al suo epilogo, segnato in tutta evidenza dall’invasione russa dell’Ucraina. Ho parlato di un diletto consapevole di lettore, alla mia età; vieppiù illuminato dal tornare sopra il fondamentale saggio crociano del 1917 dedicato all’Ariosto: ineludibile per una comprensione profonda del FURIOSO, al di là di “intenderlo” e “ricantarlo” -come avverte per l’appunto Benedetto Croce- nelle sue mirabili ottave (tenendo altresì presente il godibilissimo “racconto” di Italo Calvino, appassionato e acuto cultore, com’è noto, del poema). Ragion per cui la mia breve riflessione non potrà che focalizzarsi sulla conclamata ironia ariostesca, intorno alla quale da sempre sono stati spesi fiumi d’inchiostro; ironia che -per il grande filosofo di Pescasseroli- è un tutt’uno con quella “forza magica” che intride il poema, ma che noi lettori possiamo comprendere soltanto sollevando gli occhi sopra le nostre teste; offrendosi la succitata forza nei termini di un “affetto” -da parte di questo nostro insigne poeta- “per il puro ritmo dell’universo, per la dialettica che è unità, per lo svolgimento che è Armonia”. Ebbene, detto “svolgimento” spinge l’Ariosto -sempre secondo Croce- a farsi “naturalista… minuzioso … senza appagarsi del tratto unico che solo rilevano e segnano altri genii d’artisti”. Quanto appena citato è da riferire per esempio alle meravigliose similitudini tratte dalla vita degli animali di cui si serve il poeta, all’atto di raccontarci l’animosità dei tanti guerrieri che incrociano i “crudi ferri” lungo il corso della narrazione, con effetti di grandissima suggestione visiva e poetica forza per i lettori d’ogni tempo. Similitudini da “naturalista” dunque, seguendo l’esegesi crociana; a mezzo delle quali l’Ariosto abbassa, relativizza, diciamo così, l’ira funesta dei cavalieri; giacché essa è meno importante del tutto, del flusso universale e cioè del racconto stesso (ubbidiente a una “catarsi armonica” e non “tragica”). Sia concesso però a chi scrive di aggiungere qualcosa in merito, e che appartiene alla sensibilità personale (senza ovviamente escludere -me ne guardo bene- di trovarsi a ripetere quanto già detto dalla bibliografia ariostesca). Nelle suddette similitudini –mi vengono in mente leonesse e tori infuriati, cinghiali, serpi e gli stessi animali da cortile – io ho percepito, con nitidezza, le radici padane di questo grandissimo poeta, l’Ariosto, nativo di Reggio Emilia (“l’Omero ferrarese”, secondo il fin troppo motteggiante Tasso). Radici sovente sanguigne, plastiche, carnali: come nella musica di un altro grande “padano”, Giuseppe Verdi; qui esponendomi a un anacronismo comunque incoraggiato dalla eccezionale musicalità di un poema “aperto” per definizione, e ricco di perenne attualità qual è il FURIOSO. Sicché il lavoro d’espunzione dei termini latineggianti nonché “padani” radicalmente attuato nell’ultima edizione del suo capolavoro -1532- secondo il canone bembiano (in vista pertanto di una lingua letteraria di carattere nazionale, della quale l’autore fu ben consapevole), non ha soffocato nell’Ariosto -mi è piaciuto pensare- il richiamo profondo della propria terra: così vivificando le sue figure di cavalieri ognuna delle quali, di volta in volta, è la più valorosa al mondo; prima degli epici scontri con lance che si spezzano e i cui frammenti, con amabile ironia, salgono fino al cielo. Intendo però chiudere questa riflessione sottolineando la pietas ariostesca, indimenticabile per esempio nell’episodio della morte di Dardinello (già nel nome costui -direi- piccola freccia destinata a soccombere in battaglia per mano del tanto più possente paladino Rinaldo: ORLANDO FURIOSO, canto decimottavo; CLIII): “Come purpureo fior languendo muore/ che ‘l vomere al passar tagliato lassa…”; laddove Omero, Catullo e Virgilio vibrano appieno nella “memoria involontaria” dell’ Ariosto, con esiti d’altissima poesia ben nota ai lettori del FURIOSO (sottolineata al meglio nella trasposizione televisiva del 1974 del capolavoro ariostesco da parte di Luca Ronconi; dopo la splendida teatralizzazione del poema al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1969, in cui alto brillò il magistero del grande regista).
P.S. Ieri, all’interno della Biblioteca Comunale Ariostea, ho avuto la fortuna di sfogliare nella “Sala Lanfranco Caretti” una edizione veneziana del FURIOSO risalente al 1556, donata alla Biblioteca dall’insigne studioso Cesare Segre al quale, nella voce “Ariosto” dell’Enciclopedia Europea edita da Garzanti, si deve una folgorante definizione del poema: “atlante dei comportamenti”.
Andrea Mariotti
Ampia, erudita e coinvolgente la tua analisi -Andrea- del poema ariostesco l’Orlando Furioso, che rappresenta il massimo equilibrio cui è pervenuto il genio italiano del Rinascimento. Equilibrio in cui Benedetto Croce -in un suo famoso saggio- individua la chiave di lettura per comprendere tutta l’opera del poeta reggiano…”Il poeta è simile all’occhio di Dio che guarda il muoversi della creazione, amandola alla pari nel bene e nel male, nel grandissimo e nel piccolissimo, nell’uomo e nel granello di sabbia, perché tutta l’ha fatta Lui e non cogliendo in essa che il moto stesso, l’eterna dialettica, il ritmo e l’armonia, elementi dominanti dell’Orlando Furioso, tempio consacrato alla dignità dell’arte”. Complimenti vivissimi, Andrea, per la bella, preziosa pagina culturale che oggi hai donato ai tuoi lettori.
Ti ringrazio, Fiorella, per avere efficacemente integrato con la tua citazione quanto ho riportato, nel mio scritto, del saggio ariostesco del grande maestro che, riletto oggi, mi è sembrato ancora più luminoso rispetto al tempo degli studi universitari; e perfettamente sintonizzato con il capolavoro che ho attraversato in questi mesi. Un caro saluto e un ringraziamento.