Eccomi a scrivere del “RESPIRO DI MOZART”, evento che si è svolto ieri pomeriggio nel “Salotto di Maria Grazia”, come da me segnalato per il tramite della locandina di venerdì scorso. La prima cosa che mi preme sottolineare è stata la risposta del pubblico, capace per circa due ore di seguirci in assoluto e concentrato silenzio, a seguito della nostra iniziale richiesta di evitare gli applausi in “corso d’opera”: al fine di tentare di avvicinarci il più possibile tutti assieme alla spiritualità mozartiana, al suo “respiro” per l’appunto. Sì, perché basta avere un po’ di non superficiale confidenza con la musica del genio di Salisburgo per rendersi conto di come ilarità e accenti sovente dolorosi se non tragici costituiscano un “unicum” sempre più elevato e inestricabile, nello sviluppo della non lunga creatività del compositore; e sarà utile rammentare in merito la natura di “dramma giocoso” di un capolavoro assoluto come il DON GIOVANNI. Così, il Mozart affetto com’è noto da coprolalia nell’età più giovanile, è anche capace di scrivere da Parigi al padre Leopold, rimasto a Salisburgo, una lettera di stupefacente maturità il 3 di luglio 1778, nel far soltanto intuire fra le righe la notizia della morte della madre (avvenuta poche ore prima nella capitale francese). Ebbene tale lettera ho creduto di dover leggere, quale introduzione alla “Sonata per pianoforte” K310 in la minore (scritta da Mozart tre giorni dopo, il 6 luglio 1778), magnificamente eseguita dalla nostra ospite Maria Grazia Sorrentino; e le cui prime battute “gelano il sangue nel vero senso della parola”, come ebbe a dire Glenn Gould. Ma la parte del leone nel programma offerto al pubblico è stata rappresentata dalle NOZZE DI FIGARO (la cui messa in scena avvenne guarda caso il primo maggio del 1786 a Vienna, alla presenza dell’imperatore Giuseppe secondo d’Asburgo); e qui non posso non dire della forza espressiva, sorretta da tecnica impeccabile, con la quale il soprano Maria Letizia De Berardinis è stata capace di dar voce all’impalpabile malinconia di Rosina, contessa d’Almaviva (inizio del secondo atto delle suddette NOZZE) nell’Aria “Porgi amor”; per tacere del sublime mottetto “Ave verum Corpus”, scritto da Mozart nel giugno 1791, ossia sei mesi prima della morte, cantato dal soprano con raccolta intensità; così che, per libera associazione, ho fatto subito seguire da parte mia la “lettura interiore”, ossia a memoria, della stupenda lirica ungarettiana “La madre”. Peraltro le NOZZE, si sa, rappresentano il primo grande acuto di Mozart “drammaturgo”, per le sfumature psicologiche dei personaggi mai statici, colti dinamicamente nei loro pensieri e atti; lungo un dialettico crinale che vede ai suoi opposti da una parte l’amore e dall’altra il risentimento sociale del protagonista Figaro: dal baritono Roberto Bisconti vigorosamente incarnato nell’Aria “Se vuol ballare signor contino (Aria che, è storicamente comprovato, non entusiasmò di certo la corte asburgica tre anni prima della presa della Bastiglia). A riequilibrare in chiave giocosa nel nostro pomeriggio l’ascolto dei brani, ha pensato il tenore Alessandro Napolitano con l’Aria di Basilio (maestro di musica presso il palazzo d’Almaviva) “In quegli anni in cui val poco”; pezzo che, grazie al genio di Mozart, si offre all’ascolto come favolistico racconto di vita. E siamo così giunti al gran finale dell’evento di ieri, ossia al terzetto, sempre dalle NOZZE, “Cosa sento” (Susanna, il Conte e Basilio, dal primo atto), vera e propria sinfonia di voci; laddove la “Sinfonia concertante per violino viola e orchestra” K364 era stata in precedenza richiamata riferendosi alle battute iniziali dell’Andante, una di quelle divine nubi di malinconia che solo a Mozart appartengono. Un pomeriggio di pienezza ieri ha preso forma, credo di poter dire in conclusione, nel “Salotto di Maria Grazia”; nel librarsi della musica mozartiana in umanistica comunione con il pubblico: ora che stiamo cercando di uscire da due anni di pandemia e in pieno, angoscioso sviluppo di una tragica guerra che tutti ci coinvolge.
Andrea Mariotti
Conosco molto bene la sonata per pianoforte K.310 in la minore di Mozart -da te citata, Andrea- in cui la sublime arte del grande salisburghese si esprime in tutta la sua pienezza umana per varietà espressiva, equilibrio e ricchezza di contenuto armonico. Mi complimento con te per l’evento culturale cui hai recentemente partecipato.
E’ la seconda grande partitura “tragica” (in la minore) di Mozart, come sai, Fiorella, la sonata in oggetto, dopo la sinfonia K183 in sol minore scritta a diciassette anni…le incursioni del compositore nelle tonalità minori comunicano all’ascoltatore il senso del dolore vivo, allo stato nascente; per la purezza formale tipica della sua arte e anche per la natura della sua anima nostalgica di un paradiso perduto, come ha scritto lucidamente Massimo Mila nella “Lettura delle NOZZE DI FIGARO”. Un caro saluto