Ormai vicini alla Pasqua, prima di riascoltare con raccoglimento così come ogni anno mi accade la sublime “Passione Secondo Matteo” di J.S. Bach, qualche considerazione intorno ad una partitura d’eccezione di W.A. Mozart meno conosciuta, forse, di tante altre vette musicali del genio di Salisburgo. Mi riferisco al “Gran Trio” K 563 in mi bemolle maggiore del 1788, significativamente non distante, nel tempo come nel numero d’opus, dalla celeberrima sinfonia K 550 in sol minore. Ridotto per l’appunto all’osso, l’organico del “Gran Trio”: violino, viola e violoncello. Ebbene, senza mezzi termini, mi spingo a dire che mai come in questo caso si può percepire all’ascolto attento e ripetuto di esso l’ebbrezza creativa di Mozart, riguardo alla sua musica da camera se non a livello di tutta la sua musica strumentale. Il motivo è presto detto: non commissionato dalla corte asburgica o da qualche potente aristocratico viennese, il “Gran Trio” era stato destinato dal compositore alle riunioni musicali dell’amico e fratello massone M.Puchberg; così da indurre Mozart ad una vastità e profondità di concezione non condizionata dalla fretta e dalla volontà di ammaliare con il suo immenso talento qualche altolocato committente. Nella libertà interiore più assoluta pertanto, nasce questa pagina unica; ricca di un “Allegro” iniziale, di un successivo “Adagio” seguito da un primo “Minuetto”, da un “Andante” con variazioni, un secondo “Minuetto” e un “Allegro” conclusivo. Più sopra ho accennato alla vicinanza del “Trio” con la sinfonia probabilmente più significativa di Mozart; volendo alludere al fatto che proprio il 1788 segna, nella creatività mozartiana, una altissima terra di confine fra il periodo “demoniaco” culminato nel “Don Giovanni” del 1787 e l’ultima “stagione” musicale del Salisburghese (improntata a quella celestiale “semplicità” che ispira, a un passo dalla morte nel 1791, soprattutto il mottetto “Ave verum corpus” K 618, il “Flauto magico” K 620 e il “Concerto per clarinetto e orchestra K 622, a parte naturalmente l’incompiuto e sublime “Requiem”). Cruciale si è detto dunque il 1788 per il compositore il quale, assimilato nelle più intime fibre il contrappunto bachiano ma ancora scosso dalla fosca ispirazione del “Don Giovanni”, proprio con il “Gran Trio” in oggetto riesce a parer mio a realizzare l’equilibrio più perfetto tra purezza d’eloquio musicale e umano spessore maturato attraverso le prove della vita; ancora al di qua della disincarnata statura delle succitate partiture dell’ultimo suo anno . “Ogni volta che Mozart vuole esprimere sé stesso sceglie solo gli archi”, è stato osservato; sicché, proprio nel “Gran Trio” ci è dato di cogliere al meglio, senza veli, quell’equilibrio di cui ho appena parlato. Mi permetto in conclusione di suggerire l’ascolto, per chi volesse, del “Gran Trio” K 563 nella esecuzione del “Grumiaux Trio”, col famoso barone belga al violino.
Andrea Mariotti
Ho ascoltato con grande piacere ed emozione, Andrea, il trio-divertimento K 563 in mi bemolle maggiore di W.A.Mozart, un autentico capolavoro di singolare elevazione per forza espressiva, eleganza ed ampiezza di modulazioni. Grazie alla musica e al suo linguaggio universale possiamo oggi accettare -in maniera meno dolorosa- una fase della nostra vita particolarmente difficile. Un caro saluto.
E’ proprio vero quello che dici, Fiorella, la grande musica è più che mai salvifica in questo leopardiano “aer nefando”…un caro saluto.