Il 22 gennaio del 1990 moriva a Roma Giorgio Caproni. La voce del grande Livornese, affabile e affilata ad un tempo, soprattutto nella sua ultima e più alta stagione poetica, è più che mai attuale, come dimostra la seguente poesia a me da sempre molto cara; riferendomi in particolar modo a quei “luoghi/ non giurisdizionali” davvero corrosiva e precisa metafora di tanti aspetti del nostro buio presente:
L’ULTIMO BORGO
S’erano fermati a un tavolo
d’osteria.
La strada
era stata lunga.
I sassi.
Le crepe dell’asfalto.
I ponti
più d’una volta rotti
o barcollanti.
Avevano
le ossa a pezzi.
E zitti
dalla partenza, cenavano
a fronte bassa, ciascuno
avvolto nella nube vuota
dei suoi pensieri.
Che dire.
Avevano frugato fratte
e sterpeti.
Avevano
fermato gente -chiesto
agli abitanti.
Ovunque
solo tracce elusive
e vaghi indizi -ragguagli
reticenti o comunque
inattendibili.
Ora
sapevano che quello era
l’ultimo borgo.
Un tratto
ancora, poi la frontiera
e l’altra terra: i luoghi
non giurisdizionali.
L’ora
era tra l’ultima rondine
e la prima nottola.
Un’ora
già umida d’erba e quasi
(se ne udiva la frana
giù nel vallone) d’acqua
diroccata e lontana.
poesia di GIORGIO CAPRONI, tratta dalla silloge IL FRANCO CACCIATORE (1982)
Il viaggio è finito, ma non si sa cosa c’è dopo “l’ultimo borgo”, al di là del misterioso confine. In questi bellissimi versi, Giorgio Caproni esprime -in una forma di “disperazione calma”, senza sgomento, con ironia e distacco, il senso della vita (un viaggio di cui non si conosce la meta) e il mistero della morte. La tua citazione -Andrea- della lirica ”L’ultimo borgo “ del grande poeta livornese non può che esserci particolarmente gradita in questo momento “buio” della nostra esistenza.
E bene hai fatto, Fiorella, a citare in filigrana al tuo commento la “disperazione calma” del “viaggiatore cerimonioso”, perché davvero è proprio all’altezza di tale memorabile svolta poetica del 1965 che Giorgio Caproni, già autore riconosciuto e premiato di un libro prezioso e alto come “Il seme del piangere” (1959), troverà la sua intonazione più peculiare e indimenticabile, quella appunto di una grazia tagliente e inquietante…come un fioretto che non vuole ferire a morte, ma comunque intinto nel veleno.