La foto in oggetto è stata da me scattata nel settembre del 2019, in occasione della mia visita al cimitero fiorentino di San Felice a Ema, dov’è sepolto Eugenio Montale con la moglie Drusilla Tanzi. Ebbene, a quarant’anni esatti dalla scomparsa del grande poeta -senz’altro il più “normativo” del Novecento italiano, e ormai saldamente acquisito a livello critico nella sua statura di vero e proprio “classico” della nostra letteratura- mi sento di proporre alla lettura una toccante poesia tratta dal “Diario del ’71 e del ‘72”, vero e proprio “acuto” del tardo Montale, dopo la fondamentale svolta di registro creativo risalente a “Satura” (1971):
CORSO DOGALI
Se frugo addietro fino a corso Dogali
non vedo che il Carubba con l’organino
a manovella
e il cieco che vendeva il bollettino
del lotto. Gesti e strida erano pari.
Tutti e due storpi ispidi rognosi
come i cani bastardi dei gitani
e tutti e due famosi nella strada,
perfetti nell’anchilosi e nei suoni.
La perfezione: quella che se dico
Carubba è il cielo che non ho mai toccato.
EUGENIO MONTALE
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tale poesia, attentamente letta dagli studiosi in anni recenti, è un po’ come il manifesto dell’ultimo Montale, nel suo anti-intellettualismo qui capace –è stato detto- di cogliere la nuda vita che la storia tende a schiacciare. Vorrei soltanto aggiungere, per quanto mi riguarda, il commovente effetto che la senile memoria di un poeta lucidissimo ha suscitato in me lettore, manifestandosi essa per l’appunto in tutta la sua potenza retrospettiva. Si sta lì in corso Dogali, con il grande Genovese e la sua sapienza fanciullesca, capace di rovesciare completamente il rapporto tra l’alto e il basso sociale, fra la terra e il cielo.
Andrea Mariotti
La rilettura della lirica ”Corso Dogali” -la strada che divenne poesia- nel giorno anniversario della morte del suo autore, Eugenio Montale, mi ha particolarmente colpita per il tono ironico e disincantato di chi sa cogliere negli aspetti apparentemente più banali del vivere ed esprimere con la satira -in una poesia piana e colloquiale- spunti per acute riflessioni sulla storia e sul destino dell’uomo. Grazie, Andrea, per aver commemorato un anniversario così importante: la morte di un poeta che ha saputo avvicinare la sua poesia alla vita.
E’ che occorre leggere e rileggere, Fiorella, ne converrai, l’ultimo Montale senza eccessiva nostalgia per quel “sublime” attinto dal grande Genovese nelle sue prime tre memorabili raccolte: essendo il poeta stesso a darci l’esempio, da “Satura” in poi (“…piove sugli ossi di seppia”) in direzione della parodia (che molto ha insegnato ai poeti successivi) ed anche di una asciutta elegia, come testimonia benissimo la poesia in oggetto.