Andrea Mariotti “La tempra dell’Autunno” Bertoni Ed. Ellera (PG), 2020
Collocato tra l’opulenta e sensuale Estate e il silente e opaco Inverno, l’Autunno non si inebria di molteplici colori, ma si incanta nelle sfumature dell’ essenziale: sta qui la sua “tempra”, il carattere, misurato e vivido, malinconico e denso di memorie.
E’ fin troppo facile assimilare questa stagione a quella della vita, in cui si è capaci di coglierne il senso e le bellezze, nella necessità di un’accettazione del destino, ma con il conforto e la saggezza di una eco del passato che si riversa nel presente.
Mi sembra questa una chiave di lettura – che comprende anche lo stile – della silloge: ritmi, accenti, scelta di parole in base al suono e non solo al senso, simmetria del verso. A qualcuno, innamorato di “apparenti” novità e magari sviato dalla formazione dell’Autore, potrebbe sembrare poesia antica, o quanto meno non moderna: ma Poesia è mentre si fa e dunque oltre il tempo, in un eterno presente.
Oltre, non fuori, infatti Andrea Mariotti vive nella contemporaneità, della quale coglie le contraddizioni e se ne duole ”Corriamo come automi chissà dove/ vivendo vite consacrate al culto/ degli smartphone, “dei falsi e bugiardi”;/ senza più tempo per noi stessi egli altri”. E ancora, con l’ironia decisa e lieve che lo contraddistingue, “Più non mi parla occulto in libreria/ il dizionario di greco, di me/ si vergogna per essermi piegato/ alle faccine ovvero all’afasia/ rispondendo ai messaggi su whatsapp.”
Qual è dunque la dimensione contemporanea nella quale si colloca la poesia di Mariotti e ancor prima la sua ricerca? Mi sembra proprio nel suo “classicismo” cioè nella struttura del verso e nell’uso di vocaboli desueti e dimenticati dai più – gregarismo, ludico, germane, aulente, giammai, albore, allorquando, gaudio, beltà… – che, mentre ricollegano al passato, nel tempo presente necessitano di un paziente lavoro di ricerca, che è insieme atto e metafora della riscoperta, attraverso il linguaggio, del viaggio compiuto dall’umanità nella Storia; rinnovando l’invito al viaggio.
Il poeta, studioso e musicofilo e gran camminatore nelle montagne – che siano le superbe Dolomiti, gli abruzzesi monti forti e gentili o i monti dimora degli dei laziali – proprio nell’ascesa-ascesi ritrova il silenzio, necessario al pensiero, e i larghi orizzonti, indispensabili al sogno, specialmente percorrendo le “Alte vie”. Affrontando la montagna – mito religioso e laico e simbolo colmo di senso – Mariotti poeta, fiducioso e paziente, si sente trasformato nel profondo e verso la vita, pur riconoscendo che “ingiusti siamo a volte con noi stessi/…noi fatti d’impalpabili/ moti e deflagrazioni,/ vulcani per fortuna/ accesi ancora.” Accesi del fuoco di vita, “magma inquieto al fondo” che questa poesia è ed esprime, mentre fa emergere lo sdegno di fronte a delitti contro l’uomo e la Natura, come il rogo della pineta di Castelfusano o il disastro del ponte Morandi ”Lo schianto al cuore di un paese/ da troppo tempo preda dell’abisso/”; laddove l’abisso sul Polcevera è conseguenza e insieme drammatico segno del malaffare in cui è precipitata l’Italia.
Sdegno ripreso dalla lirica “Color del grano”: dove la denuncia e la condanna affiorano e affondano in un contesto lirico di rimandi al sogno, alla Natura, alla sobrietà e all’eleganza, tipici del poeta; dunque non cedendo né alla tristezza o alla violenza verbale.
Uomo schivo e misurato, racconta in questa preziosa raccolta l’amore per “Giacomo mio” immergendosi nei suoi versi immortali; l’amore per la sua città, Roma “amarla, Roma, nonostante tutto”; l’amore per la donna, magari detto con ironica autocritica o con inquietudine, che le quartine e le sue rime concatenate non alleggeriscono, anzi accentuano; l’amore per l’arte “beltà trasumanata che ridà alito”.
Il poeta Mariotti, come Foscolo, “sdegna il verso che suona e che non crea”; dunque, si può dire che sia “fingitore” secondo Pessoa, ma tale come colui che “nel pensier mi fingo”: così come “vede”, lascia vedere e immaginare al suo lettore, componendo il cerchio dell’essere nel farsi della Poesia.
Così come, nel sonetto conclusivo, chiude il cerchio della tempra dell’Autunno, sigillo di stagioni di Natura e umane, riprendendo il tema autunnale d’ Ottobre, mentre rivela con abituale riservatezza il suo amore “Diversa d’ogni altra donna tu sei/ per me, perduto dietro il tuo sorriso/…a noi trovare, cara, i giusti ritmi/ che due cuori rendono vicini./ Ma dolce è questo palpito autunnale!”.
al Tempo piace andare a tavoletta
con la nequizia del dominatore.
Per la discesa cieca una civetta
leva il suo canto che non desta orrore.
………
perché dannarsi l’anima in eccesso
per un amore senza più argomenti?
Bisognerà affidarsi ai venti,
non troppo tesi come sono adesso
……….
La tempra dell’autunno
Tripudio di colori offrite in dono
o cittadini alberi, voi funesti
l’ottobre scorso agli uomini e alle cose;
mentre i vostri fratelli risonanti
venivano mozzati dal ciclone
nelle foreste delle Dolomiti.
Ribolle ancora il mar Mediterraneo
ignorando la tempra dell’autunno;
e venti e trombe e grandine e alluvioni
sul Belpaese piombano furenti,
come un amore sfigurato e cieco
capace infine di schiacciare il guscio
degli attimi trascorsi in armonia.
Gli strali dell’amore sono spasmi
di viscere feconde di responsi,
in me tranquillo e finalmente intero.
Estate
A lungo ti ho ignorato, per decenni:
pressione bassa, il sole che fa male,
l’amore per le vette in me profondo;
la solitudine austera, contraria
al tuo pagano respiro di festa…
ma poco s’è detto finora, o mare!
esiste infatti donna che mi vuole
bene come giammai accaduto prima;
nativa di Girgenti, il cuore ardente,
dimentica l’ombrello anche se piove
sui longevi seracchi che nascondo.
Lungi da me tiranneggiarla quasi
fossi un bieco, ridicolo Nerone!
Sarà quel che sarà mi dico o mare,
sdraiato sul tuo letto in nuovo albore.
Ossa
Giunto a Firenze
eccomi in piazza Santa
Maria Novella, l’autobus mi attende
per raggiungere infine il cimitero
di San Felice a Ema…
ivi riposa Montale con sua
moglie, ed io ad aspettarmi
fatuamente avello
in tutto degno di un premio Nobel,
non un loculo in basso
fin troppo anonimo:
col nome di Drusilla sopra quello
del marito, ad attenderlo
vent’anni quasi.
Non da poeta laureato e in pace
riposa ivi l’autore dei Limoni,
costante nel rifiuto
della retorica.
Color del grano
Di notte, per la prima volta ch’io
ricordi, avevano gracchiato a lungo
le cornacchie malefiche e implacate
ormai padrone della città. Il giorno
dopo, però, sabato scorso, forse
ho sognato a occhi aperti ripensandoci:
sul parapetto della mia finestra
ecco un piccolo gheppio dal piumaggio
color del grano, un attimo soltanto.
Più veloce di me scomparso è senza
farsi fotografare, udite udite;
non in campagna elettorale quindi,
credo seguisse sobrio un suo pensiero
volandosene via con eleganza.
Come dirti, lettore, dell’astrale
silenzio che mi regna ancora in cuore?
Andrea Mariotti è nato e vive a Roma. Laureato in Lettere Moderne, con una tesi sullo Zibaldone di Leopardi, ha pubblicato: Lungo il crinale, 1998; Spento di sirena l’urlo, 2007 (premio “Voci” 2010); Scolpire questa pace, 2013 (secondo classificato premio “Mario Arpea” 2015). E’ stato redattore della rivista letteraria “I fiori del Male”. Sue poesie sono pubblicate su riviste e antologie. Il 20/2/2015, nella giornata inaugurale del Laboratorio Leopardi, a cura della Facoltà di Lettere presso La Sapienza, a Roma ha offerto la sua lettura interiore de “La Ginestra”.
Maurizio Rossi 19/3/2021