Il 25 novembre del 1985 moriva a Roma Elsa Morante, ammalata da tempo. Ed io, per ricordarla più da vicino, nei giorni passati mi sono procurato un aureo libretto che ho letto tutto d’un fiato (edito da Sellerio e intitolato Festa per Elsa; cura di Goffredo Fofi e Adriano Sofri, Palermo, 2011). Il primo scritto di tale volumetto -segnalatomi da Silvana Caproni- è di suo padre Giorgio, dal titolo Molto adagio. Perfettamente in linea con lo spirito d’una sua breve e famosa poesia in morte di Pier Paolo Pasolini il grande Livornese, nel ricordare la Morante scomparsa, confessa di non essersi recato ai suoi funerali, rimanendo di proposito tappato in casa ad ascoltare un disco; per la precisione una parte di esso, ossia il “molto adagio” del quartetto per archi op.132 di Beethoven. Caproni si dichiara infatti del tutto indifferente al timore di passare per un “esteta” o “decadente”; ben più grave è per lui la “golosità” di mettersi in vista partecipando alle esequie di un personaggio illustre (il “fiore all’occhiello”, per capirci, nella succitata poesia su Pasolini). Sicché Giorgio Caproni ha ascoltato per lei, per l’amica Elsa, molto amante della musica e “datrice di vita” (stupenda definizione!) quella che definisce la “più profonda meditazione sull’esistenza, che in sé comprende anche la morte”, riferendosi per l’appunto alla trascendentale partitura frutto del genio beethoveniano. Ma nel volumetto in oggetto, c’è un altro scritto che mi ha molto colpito, dovuto alla penna di Fabrizia Ramondino. Sentite l’inizio di esso, che più folgorante non potrebbe essere, circa il temperamento singolarissimo di Elsa Morante: “era allegra, libera, anarchica come un uccello; severa come le tavole della legge; pietosa al punto di sostenere che AMA IL PROSSIMO COME TE STESSO significa AMA IL PROSSIMO PERCHE’ E’ TE STESSO”. Di seguito, il memorabile affondo della Ramondino nei riguardi del quotidiano “La Repubblica”, in occasione della morte della grande scrittrice: “nel paginone della cultura, Giuliani da un lato e Asor Rosa dall’altro provavano con le loro pinze chirurgiche disinfettate a operare il corpo poetico di Elsa per separarne le parti malate da quelle sane; o viceversa a salvare il corpo della letteratura italiana da quella grande infezione che pareva loro quel mondo poetico”…come non pensare, qui, mi sono chiesto, agli strali della intellighenzia nostrana scavalcata dall’enorme successo di pubblico di un libro come “La Storia” del 1974 (romanzo che andava a demolire l’ottimismo storicistico dei sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive”)? del resto lo stesso Pasolini, occorre rammentarlo, critico acutissimo e più onesto di tanti altri, non aveva saputo resistere neppure lui alla tentazione autoptica, dividendo il “grosso libro” della Morante in tre parti, delle quali soltanto la prima gli era parsa bellissima. Tornando allo scritto di Fabrizia Ramondino, va riportato quest’altro breve passo: ”Elsa aveva una grande cura nello scegliere le parole. Considerava ogni parola impropria un tradimento del reale e della missione del poeta…spesso le parole siedono stanche alla ricerca del poeta. Non si erano mai stancate invece di cercare e trovare Elsa” (Caproni parlerà in merito del “peso filologico” della parola poetica, avendo noi oggi davanti agli occhi, purtroppo, le troppe parole in libertà imperversanti nel lirismo “liquido”, per dirla alla Bauman, su carta e sulla Rete). Mi piacerà non trascurare a questo punto le significative considerazioni di Raffaele La Capria in ricordo della Morante (anch’esse si possono leggere in Festa per Elsa): “Con quella sua sensibilità stregonesca andava fino in fondo alle cose e ai pensieri…Lei era estrema. Chi non elude mai niente è spietato, e spesso Elsa lo era nei giudizi…Il suo tipo di conoscenza non era razionale, era rabdomatico, ma non le sfuggiva nulla. SORTILEGIO è una parola che le si addice”. Mi accorgo di aver riempito la pagina, finora, a colpi di citazioni del suddetto volume della Sellerio, a trentacinque anni dalla morte di Elsa Morante. Di sentitamente mio questo devo dire, da lettore “ingenuo”: che, nel presente annus horribilis, dopo la rilettura dei Karamazov e di Anna Karenina, ho letto (non riletto) La Storia, colmando così una deplorevole mancanza. Ebbene, l’emozione primaria da me provata è stata quella di non scendere di quota, diciamo così, in quanto a potenza di respiro narrativo del romanzo, rispetto all’Anima Russa; per tacere del fatto di essermi dimenticato del tutto di tenere tra le mani un libro, vivendo anch’io a un certo punto a via Bodoni nel quartiere romano di Testaccio con Iduzza, Useppe e Bella: come dire il perfetto “inganno” della grande letteratura che ci fa toccare le cose liquidando compiutamente la letterarietà, per via del palpito vitale integralmente trasmesso a chi legge… con buona pace degli illustri detrattori della scrittrice più grande a parer mio come di molti del nostro Novecento (perdonandole dunque, sempre a proposito della Storia, la manieristica e troppo lunga tirata anarchica affidata al personaggio di Davide Segre nella parte finale del romanzo).
Andrea Mariotti
Ho letto con piacere, Andrea, la tua bella pagina su Elsa Morante nel trentacinquesimo anniversario della sua morte. Autrice di romanzi di impegno, la scrittrice romana si è distinta per essersi mossa sempre al di fuori delle mode e delle correnti: basti pensare alla sua opera più ambiziosa ”La storia”, che costituì negli anni ‘70 un vero e proprio caso letterario. ”La Morante definisce il suo realismo in termini assai diversi da quelli correnti, senza il peso di una realtà’ immediata e materiale; essa tende anzi a una sorta di trascrizione favolosa dei ricordi e ad una loro sublimazione mitica e simbolica, con esiti di singolare fascino” (Natalino Sapegno).