Con tutto rispetto dovuto al Santo Padre, non posso non esprimere il mio disagio per quanto ha affermato oggi Bergoglio all’ Angelus. Ha infatti precisato che il chiacchierio all’interno della Chiesa è un male peggiore del covid, l’ espressione più schietta dell’ operato di Satana, rincarando la dose. In televisione si poteva vedere un papa stanco e invecchiato di colpo, quest’ oggi, in effetti. Chiarissimo, credo, il bersaglio dei suoi strali: quella Curia che mai lo accettato evidentemente, e specializzata del suo nel muoversi a fari spenti nonché nel distillare con grande efficacia il veleno delle insinuazioni. Ma sfogarsi di fronte ad una piazza neppure tanto affollata per la situazione epidemiologica, cui prodest? A Bergoglio non penso, a conti fatti, a fronte della immensa soddisfazione sicuramente provata dai curiali, per tale pubblico sfogo…non sono ovviamente un vaticanista, ma, ripeto, nell’ Angelus odierno si è potuta percepire quasi la dichiarazione di resa o come minimo la richiesta d’aiuto del capo di uno stato sovrano isolato, alle corde. Sicché non posso non citare, qui, al riguardo, la parte conclusiva del primo dei PENSIERI di Giacomo Leopardi: “…perché come nei corpi degli animali la natura tende sempre a purgarsi di quegli umori e di quei principii che non si confanno con quelli onde propriamente si compongono essi corpi, così nelle aggregazioni di molti uomini la stessa natura porta che chiunque differisce grandemente dall’ universale di quelli, massime se tale differenza è anche contrarietà, con ogni sforzo sia cercato distruggere o discacciare. Anche sogliono essere odiatissimi i buoni e i generosi perché ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose coi loro nomi. Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina. In modo che più volte, mentre chi fa male ottiene ricchezze, onori e potenza, chi lo nomina è strascinato in sui patiboli; essendo gli uomini prontissimi a sofferire o dagli altri o dal cielo qualunque cosa, purché in parole ne siano salvi”.
Andrea Mariotti