XXXVII
Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno
di questa notte, che mi torna a mente
in riveder la luna. Io me ne stava
alla finestra che risponde al prato,
guardando in alto: ed ecco all’improvviso
distaccasi la luna; e mi parea
che quanto nel cader s’approssimava,
tanto crescesse al guardo; infin che venne
a dar di colpo in mezzo al prato; ed era
grande quanto una secchia, e di scintille
vomitava una nebbia, che stridea
sì forte come quando un carbon vivo
nell’acqua immergi e spegni… (Alceta)
GIACOMO LEOPARDI (1819)
Questo bellissimo e suggestivo frammento leopardiano è stato per così dire preso alla lettera da Federico Fellini nell’ ultimo suo film, “La voce della luna” (1990), laddove l’astro risulta rovinosamente atterrato, alla mercé degli umani curiosi e stupefatti…qualcuno ricorderà, nel bel mezzo del film, una inquadratura obliqua, fulminea del ritratto di Giacomo Leopardi appeso a una parete. Il poeta sorride in questo ritratto malinconicamente e misteriosamente, così come ebbe a fermarla dal vero, tale espressione del Recanatese il Lolli, a Bologna, nel 1826. Un sorriso, quindi, quanto mai emblematico a proposito del sogno astrale che leggiamo nel succitato frammento e giustamente tenuto in conto da Federico Fellini nella “Voce della luna”.
Andrea Mariotti
Il frammento XXXVII dei Canti del Leopardi da te citato, Andrea, ci immerge in un’atmosfera di grande suggestività per la connotazione negativa di un sogno inteso come ”caduta” dell’astro, come “assenza” in cui si esprime tutta l’angoscia di un animo prigioniero del ”natio borgo selvaggio”. Singolare l’accostamento del sogno astrale leopardiano all’immersione nel silenzio della notte lunare nell’ultimo film di Federico Fellini ”La voce della luna”.