Ringrazio vivamente Fausta Genziana Le Piane per avermi autorizzato a proporre in questo blog il testo integrale della intervista che mi vede rispondere alle sue domande (intervista inclusa nel volume A colloquio con… di F.G.Le Piane, seconda edizione ampliata, yuocanprint, Lecce 2020…A/M):
ANDREA MARIOTTI: LEOPARDI FORTISSIMAMENTE LEOPARDI!
-Leopardi oggi: quale fascino può esercitare sui giovani?
Riguardo a Leopardi, non mi soffermerei troppo sullo stereotipo (comunque motivato) del Recanatese compagno di strada degli adolescenti malinconici e inquieti, ripensando a poesie come Alla luna, La sera del dì di festa, Le ricordanze, Il passero solitario tanto per fare qualche esempio…no, la faccenda è più complessa, sotterranea, direi: c’è, nella grande lirica leopardiana, una durevole freschezza immediatamente fruibile dai giovani meno attratti, per capirci, dal fitto nozionismo sotteso a un testo come il dannunziano Alcione (che pure rimane alla base del nostro Novecento poetico). Detta freschezza leopardiana, cultura che si è fatta sangue e respiro, e quindi non più esibita bensì piena di forza creaturale, risulta poi irrobustita da quello che un grande studioso come Walter Binni ha chiamato pessimismo energetico del nostro poeta-pensatore; pessimismo via via sempre più potente fino all’approdo altissimo della Ginestra. E del resto già De Sanctis aveva osservato bene il miracolo di una poesia che nel momento in cui ci pone di fronte ad uno scomodo Vero, simultaneamente ci fa amare di più la vita. Leopardi a mio avviso andrebbe sentito vicino a Stendhal, per quella gioventù del cor evocata dal Recanatese nei suoi versi del 1826 e comune a entrambi (uniti peraltro a livello di pensiero dalla condivisione del materialismo filosofico di matrice illuministica). Da rammentare a questo proposito come Paolina Leopardi, sorella e confidente del poeta di Recanati, fosse una appassionata lettrice dello scrittore francese, che Giacomo incontrò a Firenze nel 1827 nonché nel 1832 presso il Gabinetto Vieusseux.
-Quale sua poesia preferisci e perché.
Il canto leopardiano da me maggiormente amato e considerato è senz’altro La ginestra (1836); e questo perché in tale canto si può cogliere al massimo grado una compiuta fusione tra pensiero e poesia. Per capirci meglio: non dobbiamo dimenticare che L’Infinito (di cui in questo 2019 si festeggia il bicentenario) rimane un portentoso miracolo d’intuizione poetica che spiazzò in qualche modo il nostro giovane poeta; talché egli l’anno dopo, nel luglio 1820, ritornò nello Zibaldone a riflettere da filosofo sui piaceri dell’immaginazione, nel vivo di quella sua teoria del piacere di materialistica matrice che non dovrebbe essere ignorata leggendo l’immortale idillio (al fine di non fraintenderlo in chiave spiritualistica). Ma, tornando alla Ginestra, ecco che qui ci troviamo al cospetto di un canto testamentario dal quale muove verso il lettore un messaggio di saggezza estrema; nei termini di un invito ad opporsi al bellum omnium contra omnes, condividendo tutti un destino di morte che uniti ci dovrebbe vedere nei fatti e consapevoli dinnanzi alla furia della Natura simboleggiata dallo sterminator Vesevo. Questo canto dalle strofe tentacolari (Binni), ci mostra tutta la sapienza artistica e la sprezzatura di un poeta che, vicino alla morte, ormai non distingue più fra lirismo e discorsività, fra pietas e sarcasmo; donde uno stile poetico di plastica consistenza, potente e magmatico, incandescente come la lava del Vesuvio e prepotentemente moderno, distante cioè da quel classico decoro cui Leopardi si era in precedenza attenuto. Non per niente sono diversi anni che offro al pubblico la lettura interiore, ossia a memoria, della Ginestra, cercando di comunicare a chi mi ascolta il suo umanistico fuoco che molto fa riflettere e commuovere nel senso più alto del termine.
-Consiglieresti lo studio della poesia a memoria nelle scuole, come auspicava Italo Calvino?
Assolutamente! In effetti questa mia risposta è già implicita alla fine della precedente. Imparare a memoria le poesie oggi più che mai a parer mio potrebbe indurre i giovani a riprendere un contatto con quei valori umanistici calpestati dalle sottoculture odierne…sarebbe davvero andare contromano rispetto alla vita digitale! ma temo, ritornando coi piedi per terra, l’impopolarità e quindi l’impraticabilità ai nostri giorni di tale felice anacronismo.
-Durante le tue letture interiori ti capita di essere avvicinato da giovani appassionati di poesia? C’è passione da parte loro per la poesia?
Anche in questo caso la mia risposta è condizionata da quanto ho appena osservato. In effetti alle mie letture interiori dei Canti leopardiani di questi ultimi anni, ben pochi sono stati i giovani che si sono a me avvicinati a conclusione di esse. Piuttosto si è trattato di persone mature, il più delle volte avanti con gli anni, commosse dinanzi al mio leggere i versi del Recanatese dentro l’animo, secondo una modalità del tutto distante dalle smanie attoriali. Però è anche vero che queste stesse letture non sono state da me proposte finora dentro le scuole, bensì in determinate librerie romane e presso la Sapienza.
-Quale è la differenza tra una lettura silenziosa e una lettura a voce alta ai fini della percezione dei contenuti?
La differenza a mio avviso consiste in questo: dire i versi dei nostri grandi poeti a voce alta ma misurata, sicuramente comunica agli ascoltatori (che nel contempo leggono quegli stessi versi) un plus-valore di senso al di là del significato. In tutta evidenza, ciò presuppone da parte del non fine ma sobrio dicitore una adeguata, profonda intelligenza del testo, tale da commuovere chi ascolta; nei termini di quel grande passo dello Zibaldone leopardiano, laddove viene osservato che gli effetti della grande poesia non sono tanto quelli di placare, cullare il lettore, bensì di scuoterlo, commuoverlo per l’appunto.
-Per quale motivo la poesia è poco studiata nelle scuole? Per la scarsa preparazione dei docenti?
Penso proprio di sì, la non adeguata preparazione dei docenti è alla base dello scarso amore dei giovani per la poesia…ricordo, in antitesi, il mio professore di storia e filosofia al Liceo Classico: sapeva, non sto scherzando, la Commedia a memoria!
-Si può insegnare la poesia?
No, non credo proprio che la poesia possa essere insegnata, nel senso stretto del termine. Tuttavia si può, e non poco, incoraggiare il godimento di essa, trasmetterne in qualche modo il fuoco che la anima (nel caso della grande, autentica poesia). Rammento al riguardo il tempo mio giovanile, in cui fui esortato a leggere Dante a voce alta, per far circolare i versi del Sommo Poeta nella gola, quasi fisicizzandoli.
-Cosa manca nella capacità di approccio a questa forma letteraria?
Manca l’otium, ritiratosi dalla nostra vita come l’anticiclone delle Azzorre che ci garantiva in passato estati miti. Corriamo troppo, in ascolto magari di canzoni dai testi anche belli che ci fanno pensare alla poesia che però rimane altra cosa, per altezza e rigore.
-Tu vai spesso nelle scuole quali sono i poeti italiani più amati dai giovani?
In effetti da qualche anno sono stato invitato spesso nelle scuole a tenere delle lezioni su Leopardi e alcuni poeti del nostro Novecento: Montale, Pasolini e Caproni. Bene: pur riconoscendo ai giovani che mi hanno ascoltato una certa attenzione, non ho avuta la sensazione di un particolare trasporto da parte di essi verso questo o quel poeta; vivendo oggi i tempi che sappiamo, a base cioè di un vero e proprio bombardamento mass mediale e digitale che vede i giovani profondamente esposti e vulnerabili. Non per essere passatisti o catastrofisti, ma oggi gli occhi giovanili (e non soltanto quelli giovanili) in un autobus noi li osserviamo fatalmente focalizzati sullo smartphone, anziché su di un libro.
–Quanto e come è importante aver conosciuto direttamente figure del calibro di Caproni, per esempio?
Premesso che con Giorgio Caproni non ho avuto un rapporto diretto, è pur vero che una certa aria l’ho respirata nella mia gioventù, avendo abitato per undici anni quattrocento metri più in su di via Pio Foà (nel quartiere romano di Monteverde). Al n.28 di tale via, una targa ricorda oggi dal 2012 ai passanti (bicentenario della nascita del poeta) gli ultimi vent’anni del grande Livornese ivi vissuti. E sempre dal 2012 sono in rapporto di grande amicizia coi figli di Giorgio, Silvana e Attilio Mauro Caproni; dai quali ho ricevuto preziose indicazioni di letture atte ad approfondire la mia conoscenza di una poesia attualmente amata da molti. Sicché, indirettamente ma non troppo, una certa aria l’ho davvero respirata e continuo a respirarla. In sintesi estrema: tale amicizia mi ha fatto sentire tutto il peso filologico della parola poetica, condivisibile e ammirevole chiodo fisso di Caproni. Per questo in precedenza ho distinto la poesia dalle canzoni, in quanto a rigore e altro.
-Ami molto Eugenio Montale: cosa lo rende un poeta europeo?
È vero, amo molto anche Montale, ormai un classico che tutti i poeti d’oggi a parer mio dovrebbero leggere e rileggere per innumerevoli ragioni; la prima delle quali rimane un memorabile invito al rifiuto della retorica. Ma entrando nel vivo della domanda, proprio in questo 2019 siamo a ottant’anni esatti dalla prima pubblicazione delle Occasioni, il secondo e decisivo libro del grande Genovese. Ecco, è per l’appunto con le Occasioni che Montale si configura appieno come poeta europeo: per quella ben nota “poetica degli oggetti” che in tale raccolta raggiunge esiti artistici di altissimo livello, non fosse bastato il libro sconvolgente degli esordi, i celeberrimi Ossi del 1925. Un grande esegeta di Montale come Giorgio Zampa ci rammenta peraltro come le Occasioni non mancassero nello zaino dei nostri soldati più colti, a confortarli nel pieno della tragedia della Seconda Guerra Mondiale (con il loro linguaggio poetico fermo nel rifiuto di una roboante e disastrosa retorica).
-Quali sono stati i tuoi Maestri?
Fra tutti ricordo soprattutto Paolo Volponi (l’unico scrittore italiano a vincere se non erro per due volte il Premio Strega), per quella che definirei la sua lezione della poesia intesa come intelligenza
concreta del reale; davvero alla base del suo innegabile sperimentalismo in versi frammisto peraltro ad una più intima e lunatica ispirazione. Ma non di minor peso è stata per me negli ultimi anni la grande amicizia con Lucio Felici, studioso leopardiano di grandissimo livello nonché esegeta notevole del Belli e di Trilussa. Con Lucio, venuto a mancare nel 2017, le mail che ci scambiavamo avevano il sapore di preziosi epistolari del passato…arguto e vivacissimo, a suo tempo allievo di Ungaretti e Sapegno e poi amico di Gadda e Calvino (nonché consulente editoriale della Garzanti per quarant’anni), Lucio Felici possedeva la grazia di trovarsi sempre in equilibrio, nella fruizione critica di Leopardi (ricordo al riguardo la sua presidenza presso il comitato scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani fino al 2014). Per non dire infine della sua prosa, di classico rigore e cartesiana chiarezza.
-I tuoi scrittori stranieri preferiti?
A parte la mia venerazione per Dostoevskij, tanti sono i poeti e narratori stranieri di cui sono cultore. Fra tutti vorrei indicarne due. Il primo è il già citato Stendhal, per la grazia assoluta e moderna della sua prosa, fatta di perenne freschezza. Il miracolo di cui egli è stato capace, ossia l’aver scritto come si dice La Chartreuse in soli quaranta giorni, arriva al lettore sotto forma di un potere assoluto della narrazione, tale da far percepire il mondo interiore dei suoi personaggi ad un livello indicibile; e trattasi di un mondo in fermento, passionale e tragico, ricco di punture del cuore; il cuore giovane di Fabrizio Del Dongo e di Gina Sanseverina, per capirci. Il secondo, ma soltanto in ordine cronologico, è Hemingway. Non nasconderò il mio bisogno di rileggere ogni tanto Il vecchio e il mare, capolavoro narrativo di altissimo valore per una capacità di personificazione unica, riferendomi al parlare del vecchio pescatore con il grande pesce, nonché con la sua mano sinistra colpita dai crampi. Questi sono gli scrittori che con la propria prosa nutrono i versi dei poeti, in merito alla famosa riflessione leopardiana all’inizio dello Zibaldone! E vale la pena di sottolineare come entrambi questi narratori risultino per antonomasia scriptor rerum, distanti anni luce dai compiacimenti estetizzanti di un D’Annunzio, per intenderci (peraltro entrambi criticati dai contemporanei per la qualità troppo secca della loro prosa, poi rivelatasi nel tempo di fertilissimo insegnamento e durevole valore).
-A cosa devi la crisi della letteratura dei giorni nostri? Alla scarsità di autori di riferimento?
La crisi della Letteratura non ad altro è dovuta se non alla pletora di poeti e scrittori in erba che pubblicano il loro bravo volumetto avendo letto ben pochi libri e vissuto ancor meno…la Letteratura, quella seria, oggi arrossisce e si nasconde più che mai. Mi viene del resto in mente che essendo sempre più abituati, oggi, alla lettura digitale (pensiamo agli e-book) stiamo perdendo o abbiamo già perso il tempo interiore del leggere, che non coincide con quello intimamente frettoloso della suddetta lettura d’oggigiorno. E comunque una certa scarsità di autori di riferimento del nostro tempo certo pesa, al riguardo.
-La poesia (come una grande personalità) è il frutto di molte generazioni – di molte rare combinazioni. Per avere grandi poeti occorre avere anche un grande pubblico (Walt Whitman): oggi manca “il grande pubblico”?
Se pensiamo che un testo poetico è lettera morta che rivive ipso facto allorché gli occhi del lettore si posano sulla pagina, ecco che destinatari all’altezza dell’emittente sono condizione necessaria per il battito della poesia.
-Che cosa pensi della definizione della poesia data da Antonin Artaud: la poesia è molteplicità triturata che restituisce fiamme?
Mi piace la definizione di Artaud, pensando alla polisemia di un discorso poetico che, oggetto del dovuto labor limae (che può essere anche tormentoso per l’autore), sia poi in grado di trasmettere fuoco e fiamme a chi legge.
-Charles Baudelaire affermava che sulla poesia bisogna rompersi la testa: significa che deve essere ermetica?
In effetti anche qui vale quanto ho appena ricordato (mi riferisco al labor limae tormentoso da parte di chi scrive); e dunque Baudelaire afferma qualcosa di sacrosanto in merito. Con l’avvertenza che l’approdo di tipo ermetico contraddice ciò che la classicità ha sempre saputo molto bene: il primo debito dello scrittore è la chiarezza, come quello del comico è di saper far ridere. Non esser chiari, in poesia o in prosa, induce il lettore appena avveduto a ritenere che la tortuosità con la quale sta facendo i conti dipenda dalla materia rimasta confusa nella testa dell’autore.
A LEOPARDI
Oh l’egotismo mio, Giacomo!
carbonizzato sia dal fuoco
dei tuoi versi, che a memoria
dirò in onore dei nipponici
volti asciutti nell’immane
sciagura del marzo scorso!
Che io possa, Giacomo caro,
odorare a fondo la tua
Ginestra; tormentandomi
bieche le larve della guerra.
Andrea Mariotti, Scolpire questa pace, Tracce Edizioni, 2013
Fausta Genziana Le Piane
Andrea Mariotti è nato a Roma, città dove vive. Laureato in Lettere Moderne presso La Sapienza con una tesi sullo Zibaldone di Giacomo Leopardi, ha pubblicato finora tre raccolte di poesia: Lungo il crinale, Bastogi Editrice Italiana, 1998; Spento di sirena l’urlo, Ibiskos Editrice Risolo, 2007 (silloge con la quale ha vinto nel 2010 per la Sezione Libro Edito di Poesia, il V Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “VOCI 2010”, Venezia-Mestre); e Scolpire questa pace, Edizioni Tracce, 2013 (secondo classificato per Sezione Libro Edito di Poesia alla seconda Edizione del Premio Mario Arpea, Rocca di Mezzo, L’Aquila, 2015). Sue poesie sono apparse su varie riviste letterarie italiane, con diversi riconoscimenti e premi riservati alle singole liriche. Il poeta è stato incluso nel 2013 nella antologia letteraria dal titolo L’evoluzione delle forme poetiche (La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio, 1990-2012; archivio storico, a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo; Kairòs Edizioni, 2013). Figura in Rete all’indirizzo andreamariotti.it. Di particolare rilevanza da parte di Mariotti la lettura interiore (ossia a memoria) della leopardiana GINESTRA presso La Sapienza di Roma il 20 febbraio del 2015 (giornata inaugurale del Laboratorio Leopardi, a cura della Facoltà di Lettere e Filosofia). Mariotti è stato altresì redattore dal 2015 a tutto il 2016 della rivista letteraria I Fiori del Male, distinguendosi per le sue ricognizioni critiche relative ai grandi poeti del nostro Novecento (Montale, Ungaretti ed altri). Da rammentare infine alcune sue lezioni fra il 2015 e il 2019 presso il Liceo Scientifico Ettore Majorana di Roma su Giacomo Leopardi, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Caproni ed Eugenio Montale.
Non posso che congratularmi con te, Andrea, per la ricchezza argomentativa delle tue risposte nel corso dell’intervista -sul tema della poesia- a cui fai riferimento. La poesia, divina creatura della intuizione e della fantasia riesce davvero (come tutte le arti) a penetrare le piu’ intime e varie manifestazioni della vita e ad interpretare le piu’ segrete e puntuali esigenze dello spirito. Un solo punto, che riguarda la didattica, mi trova in disaccordo con te: lo studio a memoria della poesia nelle scuole. La poesia -come la musica- va percepita, constatata in cio’che muove in noi che ci mettiamo in ascolto del testo per cogliere l’emozione che essa suscita. Nel corso della mia attivita’ di docente mi sono impegnata in questa direzione e credo di aver ottenuto buoni risultati. Ancora complimenti ed un caro saluto.
Ma certo, Fiorella, per quanto concerne la questione da te sottolineata: nel senso che, non a caso, ho parlato dal mio punto di vista di un “felice anacronismo”, in relazione al mandare a memoria questa o quella poesia. L’importante è poterla rielaborare, la poesia, non soltanto all’interno del nostro spirito, ma appunto immedesimandoci con spirito dell’autore (qui citando da parte mia un concetto che mi è molto caro di Robert Schumann); dal significato al senso di essa, così arricchendo la nostra vita. Un caro saluto a te