Esattamente trent’anni fa moriva a Roma -nel quartiere romano di Monteverde dove abitava- Giorgio Caproni, fra i poeti più grandi del nostro Novecento. Del Livornese si riporta qui una stupenda quartina ispirata dalla via monteverdina del suo quartiere, con effetto di metafisico straniamento (tratta com’è dalla sua raccolta per me come per molti più alta, ossia il Muro della Terra del 1975)…a/m:
VIA PIO FOA’, II
Una giornata di vento.
Di vento genovesardo.
Via Pio Foà: il mio sguardo
di fulminato spavento.
GIORGIO CAPRONI
Nella strofe tetrastica di Giorgio Caproni da te citata, Andrea, si colgono appieno il senso di estraneità del poeta nei confronti della vita, la sua condizione solitaria, isolata e di spaesamento nel deserto umano ed esistenziale, nei confronti del quale egli volge uno sguardo “di fulminato spavento”. Vorrei menzionare -a conclusione della mia breve nota- i seguenti versi del poeta livornese, tratti da “Istanza del medesimo”(in “Il muro della terra”): “Cosa volete ch’io chieda./Lasciatemi nel mio buio./Solo questo. Ch’io veda.”
In sua dichiarazione di poetica giovanile e memorabile Montale osserva che il problema dei poeti “liberisti” (ossia di coloro i quali fanno a meno delle forme tradizionali della poesia non così obsolete come sembrano) è appunto di trovare qualcosa. Solo i veri poeti giungono in porto, in effetti, laddove i più ondeggiano in modo inconcludente. Giorgio Caproni, soprattutto negli ultimi suoi libri, ha trovato una soluzione stilistico-semantica che lo rende sempre più grande ai nostri occhi a trent’anni dalla sua morte.
Quelle di Caproni sono frammenti di poesia come quanti di luce che superano l’incognita del tempo e si annidano nel pensiero illuminando il nostro modo di essere.
E’ una fortuna tornare qui e poter sorbire tanta armonia in lettura.
Grazie Andrea
Un caro saluto
Un caro saluto a te, Francesco