Mi piacerà riflettere un attimo sul grandissimo Hitchcock, per osservare come la zampata del leone si possa in effetti cogliere anche e forse a maggior ragione in un’opera minore. Alludo al film Topaz del 1969, venuto dopo il fallimentare Sipario strappato del 1965, a ribadire forse il periodo di minore ispirazione di Sir Alfred, prima del nuovo acuto di Frenzy (penultimo film del regista) del 1972. Bene. In Topaz sicuramente si percepisce un’andatura svogliata, priva di quella ferrea e tagliente coesione trionfante in capolavori precedenti come Vertigo, Psyco e Gli uccelli’ (dal 1958 e il 1963). Distanti nel film in oggetto, tanto per capirci, i fasti di un’ altra opera maggiore di Hitchcock quale Intrigo internazionale del 1959, di sicuro a fondamento dell’ humor che avrebbe poi più superficialmente arricchito la saga di Connery-Bond. Nonostante ciò, in Topaz, io ho ammirato ieri sera una scena indimenticabile, ossia quella dell’ uccisione di Juanita, vedova di rango a Cuba (siamo nel delicatissimo anno 1962) e colpevole di doppio gioco quale amante di una spia francese in combutta con gli americani. La donna, nel film, bellissima nel suo abito viola (colore annunciante evidentemente per lei la morte in agguato), scende le scale, attesa di sotto dal capo della polizia militare cubana che tutto è venuto a sapere. Essa viene affrontata da costui provando a negare, ma inutilmente.
Minacciata di tortura nel momento in cui viene sinistramente abbracciata dall’uomo, si accascia al suolo colpita da un silenzioso colpo di pistola puntata contro di lei in quello stesso fatale abbraccio. Lo spettatore a questo punto vede dall’ alto Juanita esanime con il suo vestito viola; vestito che si dilata quasi a prender vita come i petali di un fiore (particolare puntualmente segnalato dalla critica); sì da duplicare il fiotto di sangue che lentamente fuoriesce dal corpo della donna. Corpo riverso su un pavimento marmoreo a scacchiera, con supremo risultato estetico nel rappresentare in chiave raggelata, araldica, il tema del “doppio” caro a Hitchcock, in questo caso nei termini di vita-morte. Aggiungerò che tale sublime scena mi ha fatto ripensare al momento musicale forse più alto del mozartiano Don Giovanni, ovvero quello in cui il Commendatore, colpito a morte in duello dal seduttore, mormora “sento l’anima partir“. Forse non tutti sanno (come osserva Massimo Mila nella sua esegesi della partitura di Mozart) che il famoso Chiaro di luna di Beethoven presenta innegabili somiglianze con il suddetto “Andante” mozartiano, per dire quanto comunque ebbe ad apprendere il genio di Bonn dal Salisburghese, di cui pure deplorò la licenziosità’ nel Don Giovanni… la mia divagazione di natura musicale altro non vuole suggerire, qui, se non la qualità del ” viaggio” che Sir Alfred mi ha sospinto ieri sera a fare vedendo il suo film Topaz; ricco di tale scena della fine di Juanita, vero e proprio saggio visivo di meditazione sulla morte.
Andrea Mariotti
Lodevole, Andrea, il tuo commento al film “Topaz”con riferimento ad altre opere di Hitchcock. Ho trovato di singolare interesse nel tuo testo la citazione del “Don Giovanni’ di Mozart e la sottolineatura dell’affinita’tra il “Chiaro di luna” di Beethoven e “L’Andante” mozartiano, a testimonianza che “la forza sonora” del genio di Bonn è anticipata dal grande salisburghese e rappresenta -come sostengono i cultori della musica- il punto d’unione tra Classicismo e Romanticismo.