Nel giorno della festa di San Francesco Patrono d’Italia, mi è tornata alla mente una esperienza per me significativa che ebbi modo di fare nel lontano luglio 1997. Avendo presentato la richiesta con il dovuto anticipo, mi fu infatti possibile rimanere per una intera settimana presso l’Eremo delle Carceri, luogo insigne del francescanesimo primitivo (che si raggiunge da Assisi percorrendo la strada verso la sommità del monte Subasio). Dai pochi frati del convento, una volta giunto sul posto, non mi venne chiesto altro se non la presenza giornaliera alla messa delle 6,30 del mattino. Consumavo in allegria, ricordo, i pasti con loro e dormivo in una suggestiva cella ricavata dalla nuda pietra; con un tempo perfetto che non lasciava davvero presagire il disastroso terremoto di fine settembre dello stesso anno (qui rammentando le immagini del crollo della prima campata della Basilica Superiore di Assisi che fecero il giro del mondo). Un tempo perfetto d’inizio luglio, dicevo. Dopo la messa del primo mattino cui rispettosamente assistevo e successiva colazione, ero libero di andarmene sul Subasio a camminare; e ricordo bene il contrasto fra le verdissime gole della montagna (“fertile costa d’alto monte pende”; PARADISO, XI,45) e il cielo di un azzurro intensissimo. Ma il bello veniva a sera, dopo cena. Invitato dai frati che andavano a dormire a non abbandonare l’Eremo -e chi ne avrebbe avuto voglia immerso com’ero nella sacralità del luogo?- mi recavo a passeggiare lentamente e a lungo nella selva accanto rischiarata da una luna maestosa; l’aria profumatissima e fresca (trovandomi a circa 800 metri di altezza). Io non ricordo in tutta franchezza di essermi confrontato così in profondità e durevolmente con il silenzio e la sua intima musica come in tale e lontana settimana del luglio 1997, nel lecceto dell’Eremo illuminato quasi a giorno dalla luna. In quelle sere una accentuata serenità prendeva piede dentro di me; vuoi per la purezza dell’aria, vuoi per la cosiddetta “impronta psichica” radicata in senso antropologico in un luogo davvero importante della memoria francescana (ebbi modo di apprendere successivamente che proprio l’Eremo delle Carceri rappresenta qui in Italia un “centro energetico” di primaria importanza). Da queste righe credo si sarà compreso che non si trattò, per me, di adesione a buon mercato allo spirito della New Age allora al suo apogeo nel nostro paese; bensì in sostanza di una volontà ferrea di penetrare nelle plaghe misteriose del silenzio (di quel silenzio benedetto da Rilke) la cui musica talvolta a parer mio guarda dall’alto gli stessi venerati Bach, Mozart e Beethoven, per tacer d’altri. Fu a conti fatti, la mia, l’esperienza di una “solitudine abitata” (riferendomi al titolo bellissimo e in pienezza d’ossimoro di un libro rigoroso, pubblicato nel 2006 su Chiara di Assisi da parte della storica Chiara Frugoni). Gli smartphone dovevano essere ancora inventati, nel 1997, e Zuckerberg di anni allora ne aveva tredici (grazie al quale in effetti mi è oggi possibile “condividere” questo mio ricordo). Ma si era comunque alla vigilia se non già con un piede dentro quella odiosa ed eterodiretta sottocultura del fracasso ad ogni costo, in crescita disastrosa e costante in tanti luoghi delle nostre grandi città fino agli esiti letali dei tempi attuali (tempi nei quali “pensare è sconsigliato”, come dice magistralmente in una sua vecchia canzone Francesco Guccini). Concludo a questo punto il presente scritto con i parchi miei versi di quel luglio del 1997 che mi è piaciuto rileggere sere addietro (mia la foto di quel lontano luglio; con la statua bronzea del Santo di Assisi a contemplare il cielo stellato disteso sulla nuda terra):
DOLCE SENTIRE
Sorrideva la luna,
carezzevole l’aria
e le pietre parlanti,
nell’abbraccio dei lecci.
Eremo delle Carceri,
tu sei stato per me
primordiale catino
dove attingere pace.
Ricordarti, al mattino,
credo illumini il giorno.
Poesia di Andrea Mariotti inclusa nella silloge Lungo il crinale, Bastogi, 1998.
Una profonda sospensione emotiva ed un acuto spirito lirico connotano questa tua poesia, Andrea, in cui si esprime il desiderio di vivere in un mondo più appagante pervaso di quella serenità, di quella pace, di quella luce che si attingono -come hai potuto sperimentare nella tua -sia pur breve- permanenza nell’Eremo delle Carceri, dove San Francesco amava spesso ritirarsi in meditazione e in preghiera. Complimenti per la sobrietà e l’incisivita’ dei versi!
Ti ringrazio, Fiorella, per le tue parole, soprattutto per l’accenno alla sobrietà e alla sospensione emotiva di questi miei pochi settenari che volli in qualche aderenti allo spirito francescano. Un caro saluto
Una poesia essenziale, veramente francescana, caro Andrea, in piena sintonia con il luogo evocato a suo tempo visitato; un ricordo di pienezza emotiva che illumina e rende perfettamente il senso di pace, di pacificazione che hai vissuto in quel contesto. le “pietre parlanti” e “l’abbraccio dei lecci” rafforzano tutto il significato di quel silenzio straordinario.
Marzia
Ti ringrazio molto, cara Marzia, per ciascuna di queste tue parole che limpidamente colgono l’intento di antichi miei versi, che ho “riabbracciato” giorni addietro nella loro testimonianza di un silenzio indimenticabile.
Andrea