Che dire di questa stupenda e notissima poesia di Eugenio Montale? inclusa nella raccolta LA BUFERA E ALTRO del 1956, essa rappresenta un vertice assoluto della sua lirica (chiedere in merito a Valerio Magrelli…). Per me, la poesia dove in modo folgorante il grande Genovese si serve di un perfetto quanto umile correlativo oggettivo (la “sparuta anguilla” dei LIMONI) per esprimere una ferma e combattiva resistenza al male; e proprio per questo una poesia -è stato osservato- intimamente leopardiana (anche nella struttura di strofe dallo sviluppo tentacolare): nei termini naturalmente di quel fiore del deserto (LA GINESTRA) che “il deserto consola“. Davvero in questi versi montaliani (i primi quattordici così precisi e realistici, e i sedici seguenti sempre più intrisi di allegorica luce) il divario ontologico fra l’autore e ciò che ha scritto si fa assoluto. Come dire una lirica indimenticabile, che tocca in profondità mente e cuore di chi legge (a conferma non oziosa, per me come per molti, del primato ineludibile di Montale nella poesia del nostro Novecento)…a/m:
L’ANGUILLA
L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’ Appenino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
EUGENIO MONTALE
I versi da te citati, Andrea, della bellissima lirica “L’anguilla” sono un’ulteriore dimostrazione -come tu affermi- “del primato ineludibile di Eugenio Montale nella poesia del 900” e “dello sforzo straordinariamente personale e moderno del poeta ligure che attinge alle sorgenti più pure ed eterne della lirica, riuscendo a purificare il suo fatto espressivo da ogni scoria e impulso meccanicamente sentimentale, e a ridurlo a vergine testimonianza di vita, di conoscenza, di moralità”. (Mario Alicata -da “Scritti letterari”-Milano 1968). Rilettura per me assai piacevole di una tra le più notevoli composizioni della raccolta “La Bufera e altro” del grande genovese.
Molto pertinente, Fiorella, questo tuo richiamo a Mario Alicata, il quale egregiamente chiarisce il senso di quel divario ontologico cui ho fatto cenno. Malato di “sindrome di Wagner”, Montale, per dire della spiacevolezza dell’uomo com’è ben noto, eccolo però memorabile, inesorabilmente esatto nei suoi versi: con le prime tre sillogi, soprattutto. Infine una domanda piuttosto retorica: s’è dato un altro caso nella nostra letteratura del Novecento (e forse non soltanto di tale secolo) di un poeta dotato all’esordio di una “voce” altrettanto adulta, sicura, consapevole, alludendo ovviamente agli Ossi?