VI

 

Sì traviato è ‘l folle mi’ desio

a seguitar costei che ‘n fuga è volta,

et de’ lacci d’Amor leggiera et sciolta

vola dinanzi al lento correr mio,

 

che quanto richiamando più l’envio

per la secura strada, men m’ascolta:

né mi vale spronarlo, o dargli volta,

ch’Amor per sua natura il fa restio.

 

Et poi che ‘fren per forza a sé raccoglie,

i’ mi rimango in signoria di lui,

che mal mio grado a morte mi trasporta:

 

sol per venir al lauro onde si coglie

acerbo frutto, che le piaghe altrui

gustando afflige più che non conforta.

 

 

FRANCESCO PETRARCA, RERUM VULGARIUM FRAGMENTA

 

 

 

2 commenti su “

  1. Fiorella D'Ambrosio

    “Si’ traviato e’ ‘l folle mi’ desio” (F.Petrarca -Canzoniere-VI) inizia così uno dei sonetti più belli del “Rerum vulgarium fragmenta”, considerato il sommo paradigma lirico della tradizione letteraria italiana, in cui il Petrarca umanisticamente intende rifarsi ai modelli poetici della latinità classica (Orazio “Carmina”; Ovidio “Amores”; Properzio “Elegie”). Nel sonetto da te riproposto, Andrea, sono presenti -come in tutta la raccolta- quelli che dovrebbero essere i protagonisti di una tormentata storia d’amore: Laura, oggetto del desiderio e l’io lirico petrarchesco: il Petrarca-personaggio e il Petrarca autore (con riferimento alla distinzione di Gianfranco Contini, riferita a Dante(agens e autore). In realtà, nel Canzoniere, il vero protagonista -come si manifesta anche in questa lirica- e’ il Petrarca, che esprime tutta la sua passione umana e terrena mai domata. La Laura delle Rime sparse, come afferma autorevolmente Natalino Sapegno “e’ nient’altro che un sentimento con tutto il calore della realtà e tutta l’irrequietezza della fantasia, perché ogni sua concretezza si trasfigura per l’anima tormentata del Poeta nel mito della felicità irraggiungibile”.

  2. andreamariotti Autore articolo

    Il motivo per cui ho proposto alla lettura tale celeberrimo sonetto, è dovuto al fatto di aver di nuovo ammirato, ieri pomeriggio, il capolavoro berniniano nella foto. Ebbene, nel cartiglio dell’opera, l’epigramma di Maffeo Barberini (il futuro Urbano VIII), rimanda per l’appunto al meraviglioso sonetto in oggetto in cui si impone la plastica forza dell’ossimoro “lento correr mio”, per tacer d’altro.

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