Anche la Bellezza tende i suoi agguati, per nostra immensa fortuna. Mi riferisco a quanto mi è accaduto nel pomeriggio, allorché con la testardaggine di un asino, ho voluto riascoltare l’ultima sonata di Beethoven Op.111 in Do minore del 1822 (e quindi da ascrivere a pieno titolo alla cosiddetta “terza maniera” del Maestro). Ho detto riascoltare, in quanto in questi ultimi giorni tante e tante volte mi sono confrontato con essa, capolavoro d’altezza sublime (raccontata nel Doktor Faustus di Thomas Mann tanto per capirci). Godevo nei giorni scorsi della trascendentale natura dell’Arietta all’inizio del secondo movimento, della sua trasformazione in una trama ben più elaborata per poi riproporsi nella quieta veste delle battute iniziali. Però mi sfuggiva in qualche modo il disegno d’insieme del genio di Bonn, ossia il senso più profondo d’una ispirazione lirica e misteriosamente unitaria pur nella selva apparentemente oscura di tante variazioni tipiche del tardo periodo beethoveniano. Stasera all’improvviso l’emozione al calor bianco, laddove una potente ventata di jazz ante litteram ha fatto irruzione nel bel mezzo della suddetta trama fittamente elaborata dall’ immenso compositore. Serenità’ in sostanza dell’Arietta, per poi procedere da un punto di vista elevatissimo ad un vero e proprio smantellamento della forma-sonata! storica l’importanza di tale partitura, di difficile esecuzione; con la vetta sicuramente raggiunta al riguardo da Arturo Benedetti Michelangeli. Sicché, in conclusione, io, sfortunato figlio della mia epoca che proprio non amo, ho dovuto cercare a conti fatti un grande, ostinato silenzio interiore per predispormi all’ascolto più adeguato d’una musica inaudita. Detto silenzio pretende Beethoven oggi più che mai, credo, in questo nostro tempo accelerato e non più a misura d’uomo…fermatevi, voglio scendere!
Andrea Mariotti
E’ proprio così, Andrea: soltanto “il silenzio interiore” può predisporre l’animo, nei momenti di massima tensione emotiva, all’ascolto di una musica -come quella di Beethoven- che si innalza a vette “inaudite”. La sonata Op.111 in Do minore (capolavoro “raccontato” nel Doktor Faustus di T. Mann -come ci ricordi- e tra le opere piu’ complesse del grande genio tedesco) si compone di due movimenti in aperto contrasto tra loro (Maestoso, allegro con brio, il primo; Arietta, adagio semplice e cantabile, il secondo. Di qui la difficoltà di lettura e di interpretazione; di qui il bisogno dell'”ostinato silenzio interiore” di cui sopra.
Grazie per avermi dato lo spunto a riascoltare una tra le più belle creazioni dell’ultimo Beethoven.
Un caro saluto a te, Fiorella