POETICANDO
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Diario di un laboratorio poetico
Perché Bobby Fischer di Cristina Sparagana è un grandissimo libro? (se vogliamo anche un capolavoro – ma non diciamolo, non amplifichiamolo così, perché suonerebbe retorico: invece qui il risultato è davvero magistrale, ispirato e felice)… Ma perché la nostra amica Cricrì, trafelata e fedele al nostro laboratorio, finalmente liberatasi di stile e stilemi, archetipi e richiami della foresta (cioè della psiche), si è totalmente calata in una vita non sua per farla propria, in un inaudito, anche goffo e buffo dramma esistenziale ma per rifulgerne il buio…
Robert James Fischer detto Bobby (Chicago, 1943 – Reykjavík, 2008), il celebre scacchista statunitense già campione del mondo, unico nativo del suo Paese ad aver vinto il titolo, conquistò la corona degli scacchi il 1º settembre 1972, battendo il sovietico Boris Spasskij; e la perse per essersi rifiutato di difenderla il 3 aprile 1975. Mito che sopravvive a se stesso, non c’entra insomma niente con la vita (serena o inquieta che sia) della Sparagana; ma lei ha perfettamente rivissuto, incarnato Fischer (in tare e pregi, genialità e complessi o enigmi): sì che non meno di Flaubert con la Madame Bovary, può ora veramente dire, giurare il suo veridico paradosso: “Fischer, c’est moi!”…
“… Io, / R.J. Fischer, dimoravo piano nella / casa-su-casa su radici fon- / damenta e pilastri su doccioni / e piedistalli già stallati , avevo / la mia torre di pietra sulla testa come / un berretto bisunto una visiera”…
Cristina è sempre stata capace d’immergersi o anche rinnegare la sua stessa identità – forse come invitava a fare Eliot col “correlativo oggettivo”… Ma mai come in questo libro ci ha dato il sentore, la concreta sensazione insomma della dislocazione storico-emotiva-temporale… Siamo ancora dentro quel mitico 1972 in cui il bizzarro scacchista di Chicago, partita dopo partita, con estro e pazienza, batté il quotatissimo campione russo, Boris Spasskij. Risultato davvero epocale, e che in qualche modo mimava (sovvertiva?) anche certi inopinati (metafisici?!) equilibri planetari… La supremazia scacchistico-mentale della Russia non era insomma il sempre pericolante equilibrio missilistico (diktat da terrore atomico), ma egualmente funzionava da deterrente, caustico/simbolico.
L’Occidente filo-americano parteggiava smaccatamente per Fischer (che sembrava uscito da un romanzo del chicaghese Saul Bellow, magari da Le avventure di Augie March, suo vero capolavoro), mentre le gesta di Spasskij, diligente, burocratico orsetto russo, non riuscivano ad essere clamorosamente vincenti come quelle dei primi astronauti: Gagarin, per intenderci.
Spasskij tra pareggi, sconfitte molte e (poche) vittorie, sembrava essersi perso per sempre nello spazio, come un film avveniristico, però old style, rétro… Fischer trionfava diventando filosofo, uomo immagine, trasformando la scacchiera, come Wittgenstein, in un Tractatus logicus-philosophicus… Dopo Il giovane Holden, o gli eterni ragazzi kerouacchiani Sulla strada, venne insomma lui. Uscito, si direbbe, da un film di Kubrick (ovviamente mai girato, come tanti dei suoi progetti).
Bizzarro, anarchico, eslege, sopra le linee, Fischer era, fu insieme cavallo e alfiere, torre e pedone, pigliava insomma tutte le diagonali dell’Immaginario, le saltava poi a L come a un olimpionico concorso ippico; mangiava, rosicchiava pedina su pedina, ma non solo per essere mangiato, pezzo con pezzo, sacrificio su sacrificio, di pedone in pedone, fino ai Re e alle Regine – così come fa la Storia, con le sue gloriose o perfide rivoluzioni. Quella rivoluzione non fu né francese né americana, ma islandese – avvenne a Reykjavík, luogo e paese freddo che invece infiammò gli animi, trasformò quell’incontro in un’eterna e inestinguibile aurora boreale… La Cronaca scattò a poesia, ad arcano inestinguibile, archetipo 8×8: la scacchiera che Borges amò, come l’amò Bontempelli, e tutti gli scrittori del c.d. realismo magico, fino al caro, indimenticabile Giuseppe Pontiggia (il suo capolavoro del ’78, fu Il giocatore invisibile).
Cristina Sparagana ha poetato Fischer come un genietto della lampada, bizzarro e sadico: l’inconscio materializzato, infibrato e poi rivelato. Discepolo, o meglio filosofo, d’una nuova religio, laica e sacrale assieme. Cricrì, scrivendo, adempie quel credo e quella funzione, e libera in flusso di coscienza mezzo ’900 da cui veniamo, dalla Guerra Fredda, diciamo, alla caduta del Muro, e oltre.
“… io / R.J. Fischer, madre divorziata, originario di Chicago di / un ospedale senza scollature / d’infermiere educate, come come / un cinema sudicio gremito / troppo gremito dove il proiettore / s’inceppa sempre in pieno atto di sfida e lo schermo è un lenzuolo d’obitorio”…
Dirvi ora che fine ha fatto Fischer è insieme struggente e incredibile. Drammatico come il nucleo, il fulcro di questo libro, che è tanto più esplosivo lì dove sembra rasserenarsi in una siesta da Far West americano, un po’ cinematografico (ma col veleno narrativo del miglior Truman Capote, sempre a metà, a cavallo tra Colazione da Tiffany e A sangue freddo).
Bobby trascorse gli ultimi anni di vita naturalizzato come cittadino islandese, dopo numerose controversie con il suo Paese d’origine e la perdita della cittadinanza statunitense…
Beh, anche Fischer veniva in fondo da Altre voci, altre stanze. E ad esse tornò ma per riseppellirvisi… Il mito è una cosa bella, gioiosa per gli altri – ma dolorosa, e spesso ingestibile per se stessi. Un po’ come la poesia: pensate all’ebbrezza senziente di Dylan Thomas… Cristina Sparagana incede da visionaria (forse diurna sonnambula) come cleptomane di sogni e versi: “per non farti soffrire al primo tratto / do la morte indolore, scacco / matto.”
Resta questo libro prezioso, strano, fumigante e petroso, pietra dura che nemmeno gli artigiani di Firenze riuscirebbero bene a lavorare, incastonare nella fantasia scheggiata d’un monile. Ma la buona poesia ci riesce sempre, e noi conserviamo questo gioiello come un arcano dono di famiglia: ereditato e perciò incedibile.
Plinio Perilli
Molto bella e avvincente questa nota di lettura di Plinio Perilli che rende merito e giustizia alla bravura e al grande talento poetico di Cristina Sparagana. Questo libro è dedicato ad un personaggio (Bobby Fischer, un celebre scacchista) che non tutti conoscono e questo aumenta la curiosita di leggerlo. La visionarietà e l’incisività dei versi dell’autrice possono così rendere ancora vivide e attuali le ‘mosse geniali’ del protagonista.
Grazie per questo suggerimento di lettura
Concordo pienamente con quanto scrivi, Monica. Un caro saluto