Sul settimanale OGGI del 9.6.2010, è apparso un importante articolo
di Gino Gullace Raugei riguardo al delitto Pasolini, le cui indagini sono state riaperte quest’anno. Ora, l’articolo di Raugei è seguito da un’intervista di Antonella Amendola a Silvio Parrello, il poeta-pittore chiamato “PECETTO” da Pasolini in RAGAZZI DI VITA, primo romanzo di grande successo dello scrittore-regista (1955). Chi conosce Parrello -vera e propria memoria vivente degli anni vissuti da Pasolini nel quartiere romano di Monteverde- non può non essere toccato dalla sua umanità. Alla giornalista, ER PECETTO ha raccontato cosa accadeva appunto a Monteverde nei primi anni Cinquanta presso “lo slargo in fondo a via di Donna Olimpia”, in caso di pioggia; “un barcarolo” -cito sempre dall’intervista-“smistava il traffico dei pedoni”. Io conoscevo già questo fatto dalla viva voce di Parrello, al punto di scrivere lo scorso dicembre i seguenti versi:
A SILVIO PARRELLO
O cuore antico, nocchiere
in salopette, dove mi conduci
con la tua barchetta sotto
la pioggia a catinelle?
a quell’incrocio di via
Donna Olimpia in cui l’acqua
si raccogle assai ribelle?
è il dopoguerra: fanciullo
sveglio, ti chiamano Pecetto;
così ti accoglie Pasolini
nei RAGAZZI DI VITA,
dove ride l’umanità ferita.
Andrea Mariotti, poesia inedita del dicembre 2009.
“Nocchiero in salopette” è la definizione più centrata che potevi trovare, amico mio carissimo, per un personaggio immenso come Silvio, che io, grazie a te, ho avuto la fortuna di conoscere. E cosa dire della lirica? Della capacità di essere breve ed essenziale, completo. Riassumi in 12 versi l’essenza del ‘ragazzo di vita’ di Pasolini, di colui che vive per rendere giustizia all’Amico. Immensa la chiusa con l’ossimoro “dove ride l’umanità ferita”. La foto chiude il cerchio di questo tuo straordinario intervento. Ti ringrazio abbracciandoti forte!
Sai quante volte,
Andrea, sono passata davanti al piccolo laboratorio di Parrello? Non sono mai entrata eppure mi fermavo per strana misteriosa vibrazione. E mi chiedevo leggendo sul vetro della sua porta, qualche sonetto o verso, chi mai fosse l’Anima bella che abitasse lì. Poi tu me ne hai parlato e ora so. Dimostrativo che alla fine del nostro libro personale si troverà risposta e poi ancora una domanda. Con qualche manifestazione di felicità. I tuoi versi. Ciao e…salutami Parrello, quando. Mirka
Grazie, Maria, per la valorizzazione del’ultimo verso della mia poesia. E’ il lettore che, col suo occhio amorevole e lucido, di fatto coglie una delle magie più profonde del discorso poetico, vale a dire l’ ossimoro, “sfuggito” alla mia penna appunto senza calcoli a tavolino. Così come, senza calcolo, per la prima volta ho fotografato Parrello col mio cellulare; e, il risultato, è la foto presentata nell’articolo. Un’altra cosa vorrei aggiungere: la giornalista Amendola da me citata è la figlia di Giorgio, il grande uomo politico. In ultimo, mi pare importante che un settimanale di vasta diffusione come Oggi abbia proposto ai suoi lettori un’inchiesta del genere, in tempi di sottocultura straripante. Un abbraccio.
Andrea
Sì, Mirka, affidandomi alla sapienza “economica” della poesia, ho cercato di catturare in pochi versi il clima del secondo dopoguerra, ancora una volta senza sdilinquimenti, credo di poter dire, considerando che la mia lirica si conclude con la parola ferita. Per sobrietà, non ho fatto cenno nell’articolo al seguente fatto: di aver trascorso la mia giovinezza nel quartiere di Monteverde; ignorando -fino a dicembre scorso- quanto accadeva negli anni Cinquanta, con la pioggia, in luoghi tante volte da me attraversati… Così, nella mia fantasia, Sivio Parrello, in base al suo racconto, lungi dal rivestire i panni del dantesco “Caron dimonio” (Inf., III, v.109), mi è apparso piuttosto come una figura misteriosa e senza peso, quasi una pennellata di Chagall…Un abbraccio.
Andrea
Sono versi, caro Andrea, che nella chiusa – a mio parere – sorridono di un sorriso amaro e, nello stesso tempo, straordinario, inimmaginabile.
Voglio dire che l’umanità – qui tutta contenuta in Parrello – sanguina abbondantemente ma il “ragazzo di vita”, attraverso la mediazione letteraria pasoliniana, la rappresenta trasfigurata, sebbene assolutamente reale. Così, alla fine, ciò che resta è una profonda commozione, meglio, un’empatia che ti parla (passami il termine) con la cadenza, rituale e catartica di una filastrocca.
Sandro
Caro Sandro, meglio non avresti potuto indovinare la cadenza di questa mia poesia: un piccolo dono per chi legge intorno a Pasolini senza il maledettismo in cui sono caduti tanti suoi goffi epigoni…di mezzo il mio spirito critico, più che mai vigile, immagino. Il resto, anzi il meglio, lo ha fatto Parrello col suo modo di essere, al punto di far rinascere, in me, il “fanciullino” alla base di questi versi. Un abbraccio con stima.
Andrea