Camminando in fretta domenica scorsa lungo via Cola di Rienzo a Roma, nonostante il traffico e il clangore ho udito la voce della poesia (a.m.):
GABBIANI
Non so dove i gabbiani abbiano il nido
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
Vincenzo Cardarelli
Simile ai gabbiani che -in perpetuo volo- sfiorano l’acqua per “acciuffare il cibo”, il poeta “sfiora la vita” alla ricerca di pace per il suo spirito inquieto: una sola immagine per rappresentare l’ansia e il tormento di una esistenza, la sua, definita in altra composizione (“Alla deriva)”, soffocante “cerchio nero”. Si potrebbe dire, Andrea, che il tono pacato da idillio e gli effetti lirici delle “Poesie” di V.Cardarelii -fondatore e direttore della Ronda- trovano nel Leopardi un lontano modello. D’altra parte la restaurazione cardarelliana della forma muove proprio dalla riscoperta dell’opera di Leopardi: lo stesso Cardarelli scriveva del poeta recanatese:”…non soltanto era una voce antica e familiarissima che tornava a suonare al nostro orecchio con una forza irresistibile, ma un santo della tradizione che si staccava dalla sua polverosa nicchia per rivelarcisi un autore modernissimo…” Un caro saluto.
Ti ringrazio molto, Fiorella, per questo tuo tempestivo e ricco commento che integra la mia rilettura della bellissima e celebre poesia di Vincenzo Cardarelli. Peraltro ho sotto gli occhi lo scritto del poeta di Tarquinia intitolato La favola breve di Leopardi, dove l’esaltazione cardarelliana delle Operette, pur ispirata, finisce per risultare totalizzante nel momento in cui essa va innegabilmente a detrimento dell’integrità dei Canti: “Leopardi esaurisce nei Canti tutta la sua passione e la sua grazia di poeta locale. Quando tenta di dare alla sua poesia un contenuto di riflessioni obbiettive perde il suo immenso dominio dello spazio, la materia troppo analizzata si accumula e crea un senso di oscurità e di fatica, la bella linea dorata della sua poesia viene a mancare, il tono è troppo agitato, commosso e leggermente enfatico”. Lasciami dire, Fiorella, a questo punto, che la famosa “svolta” (1947) della critica leopardiana per opera in primis di Walter Binni era necessaria come il pane, di fronte alla succitata nota cardarelliana (pesantemente condizionata dall’opzione “distinzionistica” di crociana matrice)! In sostanza, pur consapevole del peso considerevole di Cardarelli, non posso non osservare che, a rivestire di panni troppo stretti il grande Recanatese ci si rimette eccome, pensando alla Ginestra (per tacere dello stesso Zibaldone, al cui interno troviamo la famosa puntualizzazione leopardiana in merito alla grande poesia che non deve lasciare l’animo nostro rassicurato, anzi…). Un caro saluto