Buenos Aires
Vorrei non mi mancassi, ma mi manchi
città dei buchi nelle calze
di ragazzi adulti e adulti bambini
città che sempre si innamora dei suoi spacconi
i suoi bari, i suoi salvatori della patria
città senza memoria di se stessa
(che ha un fiume enorme e non se ne cura
alberi magnifici e non li guarda)
che allunga sempre i piedi oltre le lenzuola che
fu vittima e complice di un gran massacro.
E tuttavia
vado per il mondo cercando i tuoi segnali:
gli sguardi di sfida delle tue donne
(strani, quasi ardenti)
l’eloquio facile, l’intelligenza all’erta
l’iperattività dei tuoi giovani
quel modo speciale di tagliare e arrostire la carne
la ricerca continua, l’odio per la routine.
Ti cerco e ti trovo in ogni lato:
nella tua iconografia globalizzata
(Gardel, Evita, el Che, Borges, Maradona)
in questi cieli senza Croce del Sud
nell’evocazione dei tuoi odori
poesia di Mario Paoletti nella traduzione di Antonietta Tiberia; tratta dalla raccolta DI OGGI, OMERO PRENDE SOLO IL FIORE, Fusilialibri, con prefazione di Dante Maffia (curatrice Antonietta Tiberia)
——————–
Mario Paoletti è un poeta in qualche modo anomalo nel panorama della poesia sudamericana degli ultimi decenni. La sua vita è stata ricca di avvenimenti e di varie attività, ma la poesia lo ha sempre accompagnato come un viatico al quale ha attinto, come lettore e come autore, le energie necessarie per affrontare le mille difficoltà esistenziali e perfino l’esilio. Dovette abbandonare l’Argentina dopo quattro anni di carcere e chiedere asilo politico in Spagna, a Toledo, dove tuttora vive e dove ha diretto per trent’anni il ‘Centro di Studi Internazionali della Fondazione Ortega y Gasset’.
Ha pubblicato libri di versi, di saggistica e di narrativa dovendo fare i conti, come suol dirsi, con la grande tradizione del patrimonio culturale latino-americano che pesa come un macigno e si è subito reso conto che non era facile metabolizzare Hernandez, Borges, Sabato, Bioy Casares, Cortazar, Puig, Quiroga, Onetti, Arlt (per fare solo i nomi degli argentini) o l’uruguaiano Benedetti, e affermare la propria voce, il proprio mondo. Ma ci riesce, grazie a un amalgama perfetto che egli sa compiere contemperando esperienze di scrittori molto diversi tra loro.
Il risultato è palese già nel suo romanzo Antes del diluvio (1988), ma gli esiti alti della sua produzione di poeta si trovano in quella partita doppia (Broch diceva che a cinquanta anni bisogna fare il bilancio della propria attività con chiarezza e ferocia, senza nascondersi nulla) uscita nel 1991 e intitolata Inventario. I testi tratti proprio da questo volume, nella bella traduzione di Antonietta Tiberia, ci riportano al clima alto e alle atmosfere di Gustavo Adolfo Bécquer, di Ruben Dario, del Lorca del Poeta a New York. Un clima teso, una sensualità accesa, ma senza eccessi, una parola corposa e però libera, dettata da quel duende che sa disegnare sensazioni e pensieri creando un alone di verità nel quale bisogna rispecchiarsi per capirsi e capire il mondo.
Questi versi oscillano, con eleganza e leggerezza, tra echi di Borges ormai macerati e un certo andamento alla Rafael Alberti che sa far affio- rare anche i dati della ‘ribellione’ e della indignazione con una obiettività davvero emblematica.
Nella poesia Finestre illuminate si può perfino avvertire qualcosa che viene da Apollinaire o da Breton, per esempio, quei “comignoli strabici”, anche se interviene la ‘argentinità’ alla Borges (“è una storia che si sta scrivendo”) per riportare a una dimensione che ‘pretende’ la giusta obiettività descrittiva in modo da assecondare il palpito universale del “vincitore / che non può dormire per l’allegria”. La lirica Fantasticherie di un carcerato è incentrata su un rapporto d’amore. Il poeta fa sentire la forza dell’incanto e dello stupore, e l’intensità del sentimento è così calda da creare in lui un’ombra di vergogna. Sono versi che pur essendo legati alla lezione di Machado e di Jimenez se ne discostano per un fermo accento che sa realizzare in un soffio il desiderio di carnalità e la dolcezza del sogno amoroso.
Come si può notare, siamo al cospetto di una poesia che ha saputo distillare la ricchezza del passato e trarne quel lievito straordinario di bellezza, di dolcezza, di tenerezza e di tensioni verso il futuro, che è cosa rara oggi che da più parti si tende a sottrarre il canto, a rendere i versi pura enunciazione. Paoletti è un autore da guardare con molta attenzione, da seguire con grande interesse: è un po’ la sintesi ideale di molteplici voci, un crocevia pullulante di indicazioni nuove che vengono da lontano cercando un nuovo approdo con cui contaminarsi, esaltarsi e riuscire a dare alla poesia un ruolo quasi sacrale di guida.
Dante Maffia
P.S. Il libro in oggetto è stato presentato a Roma il 13 maggio scorso con letture in spagnolo di Maria Cristina Di Nardo (come segnalato nel presente blog in data 11/5/2016…a.m.)