Leopardi

 

A GIUSEPPE MELCHIORRI-ROMA (Recanati 5 Marzo 1824)

 

Caro Peppino. Non avete avuto il torto promettendo per me, perché avete dovuto credere che io fossi come sono tutti gli altri che fanno versi. Ma sappiate che in questa e in ogni altra cosa io sono molto dissimile e molto inferiore a tutti. E quanto ai versi, l’intendere la mia natura vi potrà servire da ora innanzi per qualunque simile occasione. Io non ho scritto in mia vita se non pochissime e brevi poesie. Nello scriverle non ho mai seguìto altro che un’ispirazione (o frenesia) sopraggiungendo la quale, in due minuti io formava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento. Fatto questo, soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento, e tornandomi (che ordinariamente non succede se non di là a qualche mese), mi pongo allora a comporre, ma con tanta lentezza, che non mi è possibile di terminare una poesia, benché brevissima, in meno di due o tre settimane. Questo è il mio metodo, e se l’ispirazione non mi nasce da sé, più facilmente uscirebbe acqua da un tronco, che un solo verso dal mio cervello. Gli altri possono poetare sempre che vogliono, ma io non ho questa facoltà in nessun modo, e per quanto mi pregaste, sarebbe inutile, non perch’io non volessi compiacervi, ma perché non potrei. Molte altre volte sono stato pregato, e mi sono trovato in occasioni simili a questa, ma non ho mai fatto un mezzo verso a richiesta di chi che sia, né per qualunque circostanza si fosse. Fate accettare queste mie scuse al signor Carnevalini, ringraziandolo della opinione altrettanto falsa quanto gentile, che egli dimostra della mia capacità poetica, ed assicurandolo ch’io piango di cuore con tutti i buoni la morte del suo degno fratello, lo credo meritevolissimo di onore e di lagrime, e godo che si provvegga a celebrare e perpetuare la sua memoria. I miei versi farebbero piuttosto l’effetto contrario, ma qualunque giudizio egli per sua cortesia voglia farne, il certo è che chiedere versi a una natura difficile e infeconda come la mia, è lo stesso che chiedermi un vescovato; questo non posso dare, e quelli non so comporre se non per caso…”

 

Giacomo Leopardi

 

(G. Leopardi, Epistolario, in LEOPARDI, Tutte le poesie e tutte  le prose -A cura di Lucio Felici ed Emanuele Trevi; Edizione integrale diretta da Lucio Felici- Roma, Newton Compton Editori, rist. 2016).

 

P. S. la suddetta pagina leopardiana mi è sembrata decisamente interessante in occasione del corrente mese di marzo dedicato alla POESIA (a.m.)

4 commenti su “

  1. Fiorella D'Ambrosio

    Questa bellissima pagina tratta dall’Epistolario leopardiano e precisamente dalla lettera “Al marchese Giuseppe Melchiorri” (5 marzo 1824), è l’enunciazione -da parte di G. Leopardi- del suo modo di comporre. Alla base della poesia c’è l’ispirazione (o “frenesia”), ma essa nasce in un secondo momento, nella calma che segue all’ispirazione, “quando-dopo un entusiasmo- l’anima sebbene in calma, pure ritorna come a mareggiare dopo la tempesta…”(scriveva Leopardi). Parole ricche di verita’interiore in perfetta sintonia con il mio sentire. Un caro saluto.

  2. Bianca 2007

    Una lettera preziosa e interessante, quella che ci ha donato Andrea. Lettera dal significato INfinito che pare scritta ai giorni nostri e per molti dei nostri poeti ispirati a braccio. Grazie, Mirka

  3. andreamariotti Autore articolo

    E in effetti, Fiorella, di una pagina bellissima si tratta anche a parer mio (che nella mia noticina ho definito “interessante”… appunto per consentire ai visitatori del blog poco amanti di Leopardi o in qualche modo all’oscuro della grandezza del Recanatese di soppesare liberamente la scintillante intelligenza sottesa a tale pagina). Un caro saluto a te

  4. andreamariotti Autore articolo

    Grazie a te, Mirka, per le tue parole. Come non presentare tale lettera, in cui Leopardi si scusa della sua mancata facondia? Un caro saluto

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