Con piacere do notizia del seguente evento:
L’ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI
“GIUSEPPE GARIBALDI”
INVITA ALLA
CELEBRAZIONE DEL FATTO D’ARME DI VILLA GLORI
23 OTTOBRE 1867
venerdì 23 ottobre 2015 – ore 10,30
Villa Glori (piazzale del Mandorlo presso la Colonna commemorativa)
Verrà commemorato il fatto d’arme occorso, durante la Campagna Nazionale dell’Agro Romano del 1867, che si concluse con la battaglia di Mentana tra gli uomini di Garibaldi e i franco-pontifici. Lo scontro di Villa Glori avvenne fra preponderanti forze di guardie svizzere e 78 garibaldini, che tentavano di entrare in Roma per suscitarne l’insurrezione armata, agli ordini di Enrico Cairoli che muore sul campo e del fratello Giovanni che morirà in conseguenza delle ferite riportate.
Alla cerimonia interverranno Autorità militari e civili, Associazioni d’Arma, Associazioni Risorgimentali della Capitale nonché studenti e insegnanti di alcuni Istituti di Istruzione.
La Banda musicale del Corpo della Polizia Municipale di Roma Capitale eseguirà gli inni risorgimentali e di rito durante la deposizione della corona.
Il picchetto armato fornito dal Reparto della Cavalleria “Lancieri di Montebello” renderà gli onori militari.
Il Direttore
(Franco Tamassia)
Note storiche a cura di Cinzia Dal Maso (archeologa, studiosa della Repubblica Romana nonché Direttore della Rivista on line Specchio Romano.it):
Nell’autunno del 1867, Roma, già stremata da una spaventosa epidemia di colera, fu scossa da tre episodi che si susseguirono in un pugno di giorni: l’esplosione della mina che il 22 ottobre fece saltare in aria una parte della caserma Serristori, lo scontro del giorno seguente a Vigna Glori, l’eccidio del lanificio Ajani.
Il 23 ottobre settantasei garibaldini comandati da Enrico Cairoli, accompagnato dal fratello Giovanni, erano giunti fino alle porte di Roma nel tentativo di suscitare un’insurrezione armata nello Stato della Chiesa, nell’ambito della campagna Nazionale dell’Agro Romano del 1867 che si concluse con la sconfitta di Mentana. I garibaldini avevano iniziato la discesa lungo l’Aniene su due imbarcazioni con fucili a bordo. Il piano dei rivoluzionari prevedeva il sequestro del rimorchiatore che risaliva il fiume agganciando le barche dei pescatori, con il quale sarebbero potuti entrare a Roma. La gendarmeria, però, avvertita da una soffiata, aveva impedito l’uscita del rimorchiatore sia il 22 che il 23 ottobre. Le camicie rosse attesero notizie da Roma, poi, all’alba, cominciarono a salire la collina, fino ad arrivare alla vigna Glori.
Enrico Cairoli si preparò a una disperata resistenza. Poche ore dopo arrivò una compagnia di militari pontifici, nutrita e ben armata. Quanto alle condizioni dei garibaldini, vengono subito in mente le parole poste da Cesare Pascarella in bocca a Giovanni Cairoli:
“Pensate che semo settanta
E che ci avemo sei cartucce a testa.
Nun sparate che quanno so’ vicini…”
Il conflitto che ne seguì fu terribile. Al disperato valore dei volontari si contrappose la spietata ferocia dei pontifici, nel clima di forte tensione emotiva causato dall’attentato del giorno precedente alla caserma Serristori. Enrico cadde colpito a morte, Giovanni fu ferito gravemente, ma riuscì a raggiungere la casa del vignaiolo, dove, insieme con altri compagni, poté ricevere le prime cure. Gli assalitori furono costretti a retrocedere, spaventati dall’audacia dei volontari e convinti che questi fossero solo l’avanguardia di un corpo si spedizione assai più nutrito. Quando tornarono, in forze, trovarono solo i feriti e quei pochi che erano rimasti con loro. Qualcuno, continua Pascarella,
“Rimase ner casale chiuso drento
Co’ li feriti; e de nojantri, ognuno,
Dopo che s’approvò lo sciojimento,
Se sbandassimo tutti. Quarchiduno
Fu preso a Roma a piazza Barberina;
L’antri sperduti in braccio de la sorte
Agnedero a schizzà’ pe’ la Sabina,
Li più se riformorno in carovana,
Passorno fiume, presero le córte
Drento a li boschi, e agnedero a Mentana”.
Giovanni fu fatto prigioniero, ma liberato il 7 dicembre. Rientrò a Pavia, sua città natale, dove fu eletto consigliere comunale. Ma le ferite subite a vigna Glori avevano irrimediabilmente compromesso la sua salute: morì l’11 settembre del 1869 ad appena 27 anni.
L’impresa non era riuscita, ma il nome della vigna – oggi villa – Glori sarebbe per sempre rimasto legato ai fratelli Cairoli e ai loro volontari. Nel 1870, appena entrate le truppe italiane a Roma, furono molti i patrioti che volevano visitare il luogo. Ma il proprietario, il signor Glori, “clericale della più bell’acqua”, non ne volle sapere e chiuse a chiave l’ingresso. Il 23 ottobre dello stesso anno, però, fu organizzata una manifestazione così imponente che il Glori non poté più opporsi, soprattutto perché gliene aveva chiesto espressamente il permesso l’on. Luigi Pianciani. Rispose che concedeva l’autorizzazione non al deputato, ma al conte Pianciani, contando sulla sua discrezione. Tutte le buone intenzioni del deputato, però, andarono a rotoli, dal momento che i sentieri troppo stretti della vigna non riuscirono a contenere la folla, che andò a invadere vigna e campi, causando non pochi danni. Come racconta Pio Vittorio Ferrari, reduce da quegli avvenimenti, “quanto al signor Glori, volesse o no, dovette sorbirsi ogni anno un pio pellegrinaggio, che per lui rappresentava un’invasione”.
Da non trascurare la figura di Adelaide Bono Cairoli, madre degli eroici fratelli. Se in un primo momento il giudizio storico su questa donna fu quello di madre dolorosa, in seguito la lettura dei carteggi e ulteriori ricerche hanno dimostrato la sua potente personalità, baricentro sentimentale e ideologico di tutta la famiglia. La donna, che si teneva perennemente informata con la lettura di fogli o articoli patriottici, organizzava anche riunioni politiche celate sotto il nome di incontri culturali dell’Accademia Musicale.