Su L’ABITUDINE DEGLI OCCHI di Monica Martinelli
Guardo le mie unghie e non le riconosco,
distante ornamento di mano più gentile
stentano a crescere loro
mentre io mi sento già troppo grande
e ho nostalgia dell’età trascorsa
quando il tempo non mi stava addosso
mentre ora viaggia senza tregua.
…questa prima strofe di una poesia di Monica Martinelli inclusa nella sezione Atteggiamento del corpo, all’interno della sua recente silloge L’ABITUDINE DEGLI OCCHI (Passigli Editori, 2015; con prefazione di Davide Rondoni), mi ha vivamente colpìto per la sua asciutta e dolente cadenza; laddove lo straniarsi dell’io poetante dal “distante ornamento di mano più gentile” prepara per così dire alla memoria del lettore una valenza d’ipertesto di cui non sarà inutile rammentare l’acme: “Sed fugit interea, fugit inreparabile tempus”( Virgilio, Georgiche, III; 284). In effetti la suddetta strofe palesa a parer mio una sua notevole bellezza, considerando in essa quel “mentre” tutt’altro che ripetitivo bensì efficacemente anaforato e atto ad esprimere -con la conquista di un moto accelerato- il doloroso stupore che ci assale al cospetto del tempo fuggitivo. Ma la Martinelli possiede in tutta evidenza una fucina di versi duri (e aggiungerei implacati), osserva Davide Rondoni nella già citata prefazione; come risulta dallo sviluppo della seconda strofe della poesia in oggetto: “Le mie nuove unghie, / …Vorrei infilarle nella tua carne di pensieri/ farti gridare una maledizione/ in questo ridotto angolo di tempo,/ una galassia in movimento/ dove i nostri corpi ruotano/ in senso inverso/ e neanche questo ha un senso”. Chiaramente la pur fulgida classicità sottesa alla precedente strofe qui non disacerba petrarchescamente il duol, non scongiura la cognizione di rotazioni “in senso inverso”: peraltro assonanzato, detto quinario, con il verso successivo in chiusa come scolpito dalla parola finale “senso” felicemente iterata. A mezzo di tale poetico ductus Monica Martinelli può dunque permettersi gli ultimi tre versi della poesia sulla quale stiamo riflettendo; versi intrisi di un umanissimo pronunciamento soggettivo ( volendosi riferire a quell’io “di donna apertissimo e affranto che diviene teatro del mondo”, secondo le parole di Rondoni): “E mi dispero per ciò che non avremo/ per ciò che abbiamo perduto/ e relegato altrove”. Un’ultima considerazione si impone a proposito di questa bella poesia e a valere per la maggior parte delle liriche del libro: essa si presenta agli occhi del lettore priva di un titolo, a rafforzare quell’impressione di un io “apertissimo” (per ribadire la felice osservazione del prefatore citata poco fa). La silloge di Monica Martinelli in oggetto (pubblicata dopo POESIE ED OMBRE, 2009, con prefazione di Walter Mauro e ALTERNI PRESAGI, 2011, con prefazione di Plinio Perilli) propone -e questo è rimarchevole- in sette sezioni riconducibili ad alcuni rami della scienze un paesaggio umano rappresentato in toto; ossia non circoscritto agli stati d’animo ma rivolto anche al corpo, giacché, dando autorevolissima voce al Leopardi delle OPERETTE MORALI (Dialogo di Tristano e di un amico): “…Il corpo è l’uomo…Ma tra noi già da lunghissimo tempo l’educazione non si degna di pensare al corpo, cosa troppo bassa e abbietta: pensa allo spirito: e appunto volendo coltivare lo spirito, rovina il corpo: senza avvedersi che rovinando questo, rovina a vicenda anche lo spirito”. E valga pure, dallo ZIBALDONE del grande Recanatese, il seguente passo: “Tutto è materiale nella nostra mente e facoltà. L’intelletto non potrebbe niente senza la favella, perché la parola è quasi il corpo dell’idea la più astratta. Ella è infatti cosa materiale, e l’idea legata e immedesimata nella parola, è quasi materializzata…” (pagina autografa 1657; settembre 1821, corsivo nostro). Ecco. Proprio quest’ultima riflessione leopardiana mi spinge, sfogliando e rileggendo le poesie de L’ABITUDINE DEGLI OCCHI, a pensare a Monica Martinelli quale scriptor rerum per antonomasia (le “durezze” -plastiche, direi- puntualmente registrate da Davide Rondoni in prefazione del libro); talché mi sento di poter tranquillamente affermare di non essermi imbattuto in una sola poesia della raccolta arrendevole al canto estetizzante, fine a se stesso. Un buon esempio al riguardo può essere la seguente lirica, al principio del libro, dalla sezione Fisiologia del dolore:
Mi smarrisco nel rumore del vento
e nel continuo accadere
di onde pazienti
che nel fragore si danno voce.
Il pensiero si stordisce nel ricordo
e si ferma a cercare ristoro
da un dolore ininterrotto
che si spezza su scogli rassegnati.
Ma quando il sole spegne la sua luce
e le onde si muovono nel modo giusto
lì si accende la grande malinconia
che solo il mare può vedere.
Sperlonga, al tramonto
….piena di trappole, lo sappiamo bene, tale poetica “occasione”, e cioè una marina al tramonto. Ma gli occhi della Martinelli, ben vigili, non hanno concesso alcunché al lirismo; avvalendosi di contro con ispirata perizia di correlativi oggettivi fra i quali spicca, per me, quello degli “scogli rassegnati”. Manca qui lo spazio per riflettere su diverse poesie della raccolta meritevoli d’attenzione. Mi preme soltanto sottolineare, in conclusione, che i debiti presenti in qualche modo nella poesia della Martinelli (valorosa redattrice della rivista letteraria I FIORI DEL MALE) nei riguardi di “una stagione molto fertile ma anche molto intellettualizzata e linguaggista”, in base a quanto osserva il prefatore della raccolta in oggetto, verranno a parer mio liquidati in brevissimo tempo dallo slancio di una voce poetica singolare e potente, e quindi capace di scuotere il lettore come si conviene alla buona poesia del nostro tempo.
Andrea Mariotti, giugno 2015
P.S. 19/11/15: lo scritto in oggetto è stato pubblicato dai Fiori del Male, quaderno quadrimestrale di Cultura Letteraria e Arte, n.62 (settembre-dicembre 2015).
Ringrazio davvero moltissimo Andrea Mariotti per questa recensione de “L’abitudine degli occhi” così precisa, accurata e illuminante, per l’analisi testuale filologica e linguistica delle poesie commentate, per i collegamenti trovati nei miei testi con le considerazioni filosofiche del grande Leopardi.
Una lettura per me preziosa!
Saluti
Monica Martinelli
Ed io a mia volta ringrazio Monica Martinelli per avermi offerto con questa sua raccolta una poesia verace e attuale; interessante e distante dall’italico melodramma più o meno sapientemente camuffato. Un saluto cordiale