Leopardi

E’ sicuramente da ringraziare, Mario Martone, per il suo ultimo film  Il giovane favoloso, sugli schermi dal 16 ottobre scorso. I tre “capitoli” dell’esistenza di Giacomo Leopardi proposti dal regista napoletano (Recanati, Firenze e Napoli), riservano spunti significativi per lo spettatore. Ma non è possibile fare a meno di esprimere, innanzitutto, un convinto apprezzamento per la prova dell’attore Elio Germano nei panni del grande Recanatese; giacché Germano, per così dire, “buca lo schermo”, con il suo portamento ingobbito e tuttavia non melodrammatico; per tacere del suo sguardo sovente attraversato da lampi di sottile ironia chissà quante volte immaginata, da noi lettori di Leopardi al cospetto, poniamo, dei versi iniziali della Palinodia al Marchese Gino Capponi: “Errai, candido Gino; assai gran tempo,/ e di gran lunga errai”. Non poco ha giovato naturalmente a Martone la possibilità di filmare il “capitolo recanatese” del Giovane favoloso all’interno di Palazzo Leopardi; talché gli anni dello “studio matto e disperatissimo” di Giacomo davvero si materializzano davanti ai nostri occhi: consentendoci quindi la liquidazione d’ogni stereotipo di libresca memoria. Si è detto, a proposito del film in oggetto, d’una sua stretta somiglianza con il celebre Amadeus di Milos Forman (1984), in merito all’intenso e ambivalente rapporto tra Giacomo e il padre Monaldo (vero e proprio leitmotiv del suddetto “capitolo recanatese”); ma tale somiglianza, pur innegabile, non limita a mio avviso il valore del Giovane favoloso. Tant’è che egregiamente il regista napoletano ricostruisce il maldestro tentativo di fuga da Recanati di Giacomo del luglio del 1819; sventato facilmente dal padre nell’anno stesso di una grave oftalmia del poeta (malattia cupamente accompagnata dal desiderio di morte; e vale, al riguardo, la lettera di Giacomo a Leonardo Trissino del 27 settembre 1819). Sappiamo bene, del resto, come Leopardi giunga comunque a realizzarla, la sua evasione dal “carcere recanatese” in quel fatidico 1819: scrivendo il sublime idillio L’Infinito, suggestivamente pensato più che declamato, da Elio Germano, in una bellissima sequenza del film. Siamo ormai alle porte del “secondo capitolo” dell’esistenza leopardiana, nel Giovane favoloso; quello fiorentino, con l’ingresso in scena degli attori Michele Riondino nel ruolo di Antonio Ranieri e di Anna Mouglalis nei panni di Fanny Targioni Tozzetti. Ebbene qui, proprio qui, il film di Mario Martone finisce per rivelare a parer mio un omissis non di poco conto. Come non fosse infatti bastato aver discutibilmente taciuto del periodo pisano, volendo riferirsi da parte nostra ai pochi mesi in sintesi sereni (incredibile dictu!) vissuti da Leopardi nella città toscana (dal primo novembre 1827 fino alla tarda primavera del 1828), periodo in cui non a caso rinascerà la poesia del grande Recanatese dopo anni di sostanziale silenzio (con i versi soprattutto di A Silvia; primo esempio, cronologicamente parlando, di canzone libera o leopardiana); come non fosse bastato ciò, stavamo dicendo, grave è risultato ai nostri occhi nel Giovane favoloso non aver mostrato allo spettatore la scena del definitivo congedo di Leopardi da Recanati: congedo avvenuto il 30 aprile del 1830 e strettamente connesso alla stesura appena ultimata (a mezzo di uno strenuo labor limae durato non pochi mesi) di quel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia solo fugacemente rammentato, nel film di Martone, in un “notturno” fiorentino (laddove Giacomo, in compagnia di Pietro Giordani, esprime la sua cocente disperazione amorosa cagionata dalla Targioni Tozzetti). Troppo bene sappiamo come il suddetto Canto notturno rappresenti in effetti il vertice altissimo, forse insuperato, di tutta la poesia leopardiana (uno studioso del peso di Pier Vincenzo Mengaldo non fa che ribadirlo con nettezza, nel suo recente e acutissimo saggio Leopardi antiromantico; Bologna, Il Mulino, 2012); e anche chi scrive, pur appassionato in sommo grado della poesia leopardiana post-recanatese culminante nella Ginestra, non scopre certo l’America riconoscendo l’altezza suprema del Canto notturno: poesia di “greca” levità, nel suo scolpire le eterne domande poste dal poeta  intorno alla condizione umana e dettate da un vigile, implacabile pessimismo che tutto investe( risultando il frutto della poderosa riflessione in prosa dell’autore dello Zibaldone e delle Operette morali). Così dicendo, ecco chiarirsi meglio il peso di quell’omissis sopra accennato, nel Giovane favoloso; film in cui si passa -con salto troppo brusco e lacunoso- dall’idillica e “giovanile” luna della Sera del dì di festa al Leopardi “fiorentino” polemico e appassionato, prosatore più che poeta; tagliando fuori, soprattutto, la nascita di quei canti pisano-recanatesi del 1828-30 cronologicamente suggellati (e non solo cronologicamente!) dal citato Canto notturno. Ché, procedendo come avviene nel film di Martone e cioè omettendo uno sguardo indispensabile sui suddetti canti del 1828-30 -veramente al centro di tutta la grande poesia leopardiana-, ecco che finiamo per ritrovarci fra le mani il filo spezzato di una esperienza poetica in cui la radicale commistione di musica e pensiero (tuttora indigesta per crociano retaggio?) si dà per compiuta proprio grazie al “miracolo” dei suindicati canti (prediletti, guarda caso, da uno studioso talvolta discutibile ma non estetizzante come Alberto Asor Rosa); canti (i pisano-recanatesi) dunque strategici per intendere  in profondità Giacomo Leopardi nella sua integrità poetico-umana ( si pensi come in precedenza Leopardi fosse invece tornato da “filosofo” nello Zibaldone del 1820 in merito al tema dell’infinito; quindi, un anno dopo la composizione del celebre idiliio). Sguardo d’autore,  si dirà, in favore del regista napoletano (amante soprattutto delle Operette morali); giacché a conti fatti Martone è stato capace di donarci un film che francamente mancava, considerando il peso e l’attualità di Leopardi; ma nel momento in cui mi sento di accettare in qualche modo da spettatore tale considerazione, non posso rinunciare – così come ho fatto- a puntualizzare la portata di una omissione che rimane (credo non soltanto per me) tutt’altro che irrilevante. Ciò specificato, anche all’interno del “capitolo fiorentino”, nel Giovane favoloso, sono presenti a mio avviso momenti significativi; ripensando per esempio allo sguardo ironico di Elio Germano (lodevolmente immedesimato con il grande Recanatese) nella scena credo ambientata presso il Gabinetto Vieusseux:  uno sguardo animato da quel “pericoloso” pessimismo (in chiave politica) percepito con inquietudine dai sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive”. Qui Martone risulta a parer mio felice nel far pronunziare a Germano gli enunciati più corrosivi del Dialogo di Tristano e di un amico; Dialogo al cui interno la posizione leopardiana si fa acutissima diagnosi socio-politico-antropologica sul presente e sul futuro, fino ai giorni nostri. Peraltro, sempre in questo “capitolo fiorentino”, come non apprezzare la puntuale citazione figurativa inerente al raffinato vestito color viola indossato dalla Mouglalis nella parte della Targioni Tozzetti (“…del color vestita/ della bruna viola, a me si offerse/ l’angelica tua forma, inchino il fianco/ sovra nitide pelli, e circonfusa/ d’arcana voluttà”; Aspasia, versi 16-20)? Confesserò inoltre d’essermi non poco commosso nell’assistere, verso la conclusione del “capitolo fiorentino”, alla scena del povero corpo del poeta rattrappito (a causa della disperazione più atroce) presso il bordo torbido e limaccioso dell’Arno, dopo un amoroso convegno negatogli dalla Tozzetti (intravista poco prima fra le braccia del prestante Antonio Ranieri)… corpo squassato dal dolore e veduto dall’alto con innegabile effetto di potenza espressiva, direi.  Nel “terzo capitolo” dell’esistenza di Leopardi (l’ultimo) ambientato a Napoli, Mario Martone come si suol dire “gioca in casa”: innegabilmente rimarchevoli -senza manierato folclore- risultano infatti alcune scene di miseria e superstizione, calore popolare e ottusità dei letterati locali; forze eterogenee con doppio effetto d’attrazione e repulsione sul Recanatese sempre più stanco e malato. Il giovane favoloso si chiude sui versi della Ginestra suggestivamente sorretti da immagini ad hoc (belle soprattutto per quanto mi riguarda quelle d’una funerea Pompei nel momento in cui echeggiano versi di tale supremo canto come “E nell’orror della secreta notte/ per li vacui teatri,/ per li templi deformi e per le rotte/case, ove i parti il pipistrello asconde…”280-3). Sicché, in conclusione -pur delusi come lettori della grande poesia leopardiana dal film del regista napoletano (giova ricordare una vera e propria presa di posizione nel felliniano Amarcord (1973) : ”Dante è così, e Leopardi…”; volendo alludere naturalmente all’altezza poetica del Fiorentino e del Recanatese appena una spanna più in basso) -credo che Il giovane favoloso vada visto da spettatori  critici e attenti evitando eccessi di sulfureo accademismo evidenti nella astiosa recensione di Emanuele Boffi del 7.9.2014 (www.tempi.it). In fondo, a pensarci bene, qualcuno prima o poi doveva mettere in bocca in un film su Leopardi ad Adelaide Antici (madre del poeta) la gelida esortazione a lodare Iddio per essersi  ripreso anzitempo l’anima di Teresa Fattorini morta di tisi (rammentando al riguardo una pagina terribile dello Zibaldone sui fratellini di Giacomo morti in tenerissima età; pagina che vale come indimenticabile ritratto materno dell’autore del Dialogo della Natura e di un Islandese (giustamente e felicemente ricordato, tale Dialogo, nel Giovane favoloso; laddove il volto dell’indifferente Natura ha i tratti della madre di Giacomo).

 

P.S. in data 25.10.14 ho ricevuto ad altro indirizzo di posta elettronica l’apprezzamento per me gratificante dell’articolo in oggetto da parte del prof. Lucio Felici, Presidente del Comitato Scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati.

16 commenti su “

  1. Francesco

    Molto ricca e interessante questa profonda analisi del film, scritta con grande conoscenza del poeta e delle sue opere, di cui il film è soltanto una brillante ma limitata superficie.
    con ammirazione
    Francesco

  2. Sonia Giovannetti

    Carissimo Andrea, ti sono infinitamente grata per questo saggio a commento del film di Mario Martone​ (a cui va anche il mio grazie), che ho avuto la piacevole emozione di vedere. Le tue autorevoli parole, da studioso di Giacomo Leopardi quale sei, mi aiutano a ridefinire meglio la figura del nostro amato poeta, colmando alcuni dubbi che avevo avuto durante la proiezione. Sono d’accordo con te anche sulla bravura di Elio Germano: ‘ “buca lo schermo”, con il suo portamento ingobbito e tuttavia non melodrammatico’. Un caro saluto.
    Sonia Giovannetti

  3. andreamariotti Autore articolo

    Ringrazio Francesco Casuscelli per le sue parole. Non credo in effetti che abbia torto nella sua definizione del film di Martone, comunque da seguire con critico interesse senza volere a tutti i costi vedere “il proprio film” su Leopardi: rimanendo ben ferme, per quanto mi riguarda, le riserve evidenziate nel mio scritto.

  4. andreamariotti Autore articolo

    Carissima Sonia, in effetti ho preferito lasciar passare alcuni giorni dopo la visione del film di Martone prima di scrivere su di esso per non “gridare allo scandalo” con apodittico pregiudizio, riferendomi alle riserve da me espresse. Riconosco in sostanza a Martone uno “sguardo d’autore” nel Giovane favoloso; sguardo tuttavia sbilanciato e tutt’altro che insindacabile, per la motivazioni addotte nel mio articolo. Circa l’attore Elio Germano, poi, mi fa piacere che tu abbia apprezzato con convinzione la sua comunicazione non verbale e così efficace con lo spettatore (considerando con chi si è immedesimato). Un caro saluto anche a te

  5. Fiorella D'Ambrosio

    Ciao, Andrea, ho letto con grande interesse la tua puntuale, articolata ed esaustiva analisi del film ” Il giovane favoloso” o meglio dei tre momenti(o “capitoli”) che caratterizzano la vita di G.Leopardi. Dirti “bravissimo” e’poca cosa! Sono rimasta particolarmente e gradevolmente colpita dalla sottolineatura dell’ “omissis” di cui mi avevi fatto cenno e che -in cuor mio- speravo in relazione proprio al mancato riferimento, nel film, del “periodo pisano” e della sbrigativa allusione al “Canto notturno…”, l’espressione più alta della poesia leopardiana con i suoi interrogativi universali,le eterne domande, gli immensi pensieri…Grazie ! Un saluto affettuoso

    Fiorella

  6. andreamariotti Autore articolo

    Ciao, Fiorella, ti ringrazio di cuore per questo tuo commento che va al nòcciolo della questione: “sguardo d’autore” sì, come ho comunque riconosciuto nell’articolo a Mario Martone in merito al suo Giovane favoloso; ma uno sguardo parecchio discutibile, nel momento in cui il Canto notturno viene sbrigativamente liquidato nel film con una battuta sopra un ponte fiorentino, nel bel mezzo della disperazione leopardiana per via della Targioni Tozzetti. Dico, senza voler scomunicare nessuno, ci sarà pure un motivo alla base della stesura durata mesi, non un giorno, del Canto notturno, così strettamente connesso all’addio leopardiano a Recanati nell’aprile del 1830! ripeto: non aver debitamente mostrato tutto questo ha comportato, nel film di Martone, una lacerazione nella vicenda poetico-umana del grande Recanatese proposta allo spettatore minimamente attento; laddove parliamo di un canto -il Canto notturno, ovviamente- che mi fa pensare alla mozartiana sinfonia k550 in sol minore, riferendomi alla serenità formale di versi comunque implacabili nella loro angosciosa interrogazione a una luna che certamente non è più quella della Sera del dì di festa ( e tutto questo, nel momento in cui Giacomo si accinge a partire alla volta di Firenze mettendosi alle spalle il carcere recanatese con tanto di condizione filiale troppo a lungo sofferta). Un saluto affettuoso anche da parte mia.

  7. massimo

    Caro Andrea che dire di questa tua profonda e non meno dettagliata analisi riguardo il film di Martone, Il Giovane Favoloso? Non posso che confermare quanto hai scritto, sia riguardo omissioni che purtroppo ahimè, inevitabilmente si compiono, e sia nella scrupolosa ambientazione e lodevole recitazione degli attori, menzionando in primis Elio Germano. Tale visione, consentimi di dirlo, è stata ancora più avvalorata dalla tua compagnia, vale a dire dalla presenza di un autorevole e appassionato studioso leopardiano, con il quale ho avuto il piacere di un’ulteriore condivisione riguardo al poeta. Possiamo altresì definire il film di Martone un apprezzabile impegno, ovvero quello di portare sul “grande schermo”, la dolente vita di Giacomo Leopardi. Un affettuoso saluto, Massimo

  8. andreamariotti Autore articolo

    Caro Massimo, come avrai sicuramente letto nei commenti all’articolo, opportuno mi è sembrato non scrivere “a caldo”: per rispettare, in partenza, e sinceramente da parte mia, la posizione di Martone rispetto alle vicende biografiche e alle opere letterarie di Leopardi (in un’epoca come l’attuale in cui, diciamolo pure, i rapporti avvelenati fra le persone sono pane quotidiano e il punto di vista altrui conta come il due di briscola). Tutto ciò premesso, aspettavo con ansia l’uscita del film; dopo averlo veduto, non ho potuto non segnalare un omissis rilevante, nel mio articolo: un omissis che non permette in effetti allo spettatore di cogliere uno snodo essenziale, nella vicenda poetico-umana del Recanatese (quello di un disincantato Leopardi, che parla alla luna per bocca del pastore nel Canto notturno e in procinto di dire addio a Recanati per confrontarsi duramente, non più da “figlio” con la vita, prima a Firenze e infine a Napoli). Un affettuoso saluto anche da parte mia

  9. mimmmobasile

    Un’esaltante recensione, puntuale nell’analisi dello stile e della struttura drammaturgica del film -gioiello, un vero monumento al “gigante” Giacomo. Un felice connubio, un grande regista, come Martone,che si era già cimentato con Leopardi, in uno splendido Zibaldone teatrale. Ma soprattutto un grande interprete, il giovane Elio Germano, che si conferma, con questa magistrale performance artistica, tra i più grandi attori italiani e non solo, in un panorama attoriale italiano, dove stentano, ahimè, ad emergere altri astri nascenti. Grazie per il tuo prezioso contributo di appassionato cultore di emozioni.

  10. andreamariotti Autore articolo

    Giustamente si è scritto che Mario Martone ha avuto coraggio, nel realizzare un film su Giacomo Leopardi. Ferme le riserve evidenziate nel mio articolo, mi trovo assolutamente d’accordo circa la prova di Elio Germano, talento autentico, genuino. Un film, Il giovane favoloso da vedere e rivedere senz’altro. Grazie a te per avere espresso il tuo punto di vista di uomo di teatro (ricordo come fosti proprio tu, Mimmo, a suo tempo, a darmi notizia di un film su Leopardi alle battute iniziali).

  11. Anna Cucciari

    Caro Andrea, questa sera, finalmente, sono andata a vedere “il Giovane favoloso”. In primo luogo, come tu dici, riconosco a Martone il merito di aver portato al cinema la storia di un personaggio come Leopardi. Impresa ardua, difficile che a mio modesto parere gli è riuscita, ma solo in parte. Molte belle le musiche, i paesaggi e soprattutto suggestivo il capitolo girato all’interno di palazzo Leopardi e a Recanati stessa. Interessante anche a scopo didattico la ricostruzione di alcuni momenti importanti della vita del poeta e la recitazione o citazione di versi o pensieri dell’autore, anche se sono d’accordo con te sull’assenza dei grandi canti pisano recanatesi. Dal momento che il regista si è soffermato abbastanza sul caso di Teresa Fattorini, avrebbe potuto almeno accennare alla canzone dedicata “A Silvia” tra l’altro conosciutissima tra gli studenti che quasi certamente andranno a vedere il film. Comunque, quello che in verità non mi è piaciuto affatto è il modo come è stato presentato il poeta, sicuramente sofferente per le sue malattie, ma non al punto di apparire quasi ridicolo. In questo trovo che abbia ragione Boffi quando paragona l’attore nei panni di Leopardi ad un” paguro”. Per fortuna in quella scena all’interno del caffè, è Leopardi-Germano che afferma a gran voce che la sua malinconia non è frutto della sofferenza per le sue malattie, ma della sua intelligenza! Ma quanti studenti vedendo quelle scene nelle quali al personaggio Leopardi non si risparmia nessuna deformità e goffaggine non ricadranno nelle solite battute a cui noi insegnanti siamo purtroppo tanto abituati? Eppure caro Andrea, noi ben sappiamo che la malinconia non risparmia nessuno neppure chi ha un bell’aspetto e una buona salute se ha un animo sensibile e profondo e una mente acuta, ma i nostri giovani, non lo vogliono credere e amano pensare, come molti critici, che il grandissimo pensiero leopardiano e gli squisiti versi siano stati dettati all’animo del poeta dalle sue sofferenze per le tante malattie! A parte questa osservazione, avrei gradito come chiusura del film proprio la rappresentazione della morte del poeta con un accenno al Tramonto della luna per rimarcare questo “personaggio” sempre presente nella poesia del grande Recanatese!
    Comunque condivido la tua idea che questo è un film da vedere e rivedere e ti ringrazio per il tuo commento che come sempre è superiore, e mette in evidenza non solo la tua eccelsa preparazione, ma soprattutto la tua attenzione, precisione, sensibilità squisita per i temi leopardiani.
    Un abbraccio.
    Anna

  12. Grazia

    Caro Andrea,
    se l’anima e la mente fossero tomografi la tua recensione sarebbe una TAC. La tua scansione del film di Martone è nitida; nulla è sfuggito alla tua analisi precisa che, filtrata dalla luce della passione, ha restituito immagini stagliate a meraviglia su un campo sgombrato dalla confusione delle tante riflessioni, dei pensieri sfocati, dei vuoti e degli omissis, delle pregevoli ricostruzioni e delle appassionate interpretazioni, avvertiti ma non sempre precisamente messi a fuoco dalle menti comuni. Hai colto e mostrato, con la lucidità di chi è padrone assoluto della materia, tutto ciò che meritava di essere posto in rilievo e lo hai trasformato in immagini, quasi che lo strumento di espressione fosse stato, anche nel tuo caso, una telecamera anziché la tastiera di un PC.
    Ed ecco riapparire anche gli aspetti mancanti: sentiamo, ad esempio, il racconto del sereno periodo pisano fonte della canzone libera, riannodiamo il “filo spezzato dell’esperienza poetica legata al miracolo dei canti”, ci riappropriamo del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e assistiamo “alla scena del definitivo congedo di Leopardi da Recanati”.
    Analogamente l’animo è coinvolto dal sopraggiungere di altre immagini: il “suo sguardo sovente attraversato da lampi di sottile ironia” di Elio/Giacomo, “uno sguardo animato da quel “pericoloso” pessimismo (in chiave politica) percepito con inquietudine dai sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive”, “il povero corpo del poeta rattrappito (a causa della disperazione più atroce) presso il bordo torbido e limaccioso dell’Arno”, i momenti alti della poesia “pensata o declamata” dal protagonista, con credibile intensità, “la gelida esortazione messa in bocca in un film su Leopardi ad Adelaide Antici”.
    Non mi meraviglia l’autorevole apprezzamento giunto dal prof. Lucio Felici, che non era mancato nemmeno al tempo della memorabile Ginestra.
    Sul film, come impressioni personali di chi può prescindere dal rigore critico, restano le forti emozioni provate, la commossa partecipazione, la gratitudine verso quanti hanno, senza risparmiarsi, con impegno e qualità, affrontato un così arduo compito, uscendone dignitosamente.
    Grazie a loro e a te, nostra guida.

  13. andreamariotti Autore articolo

    Cara Anna, ti ringrazio per il tuo denso commento ed anche per lo stimolante dissenso da te espresso in merito a quella che, dal tuo punto di vista, è risultata una forzatura, nel Giovane favoloso , di valenza perfino caricaturale, in relazione al “portamento” dell’offeso corpo leopardiano (riferendoti soprattutto alla fruizione verosimilmente negativa di ciò da parte degli studenti, nel film in oggetto). Tuttavia il film di Mario Martone, discutibilissimo per i motivi che condividiamo appieno (i canti pisano recanatesi in primo luogo) rimane a parer mio un film coraggioso e non per tutti. Per me inoltre Elio Germano è stato grande nella sua immedesimazione con Leopardi; rispettando da parte mia nel contempo e sinceramente il tuo negativo punto di vista al riguardo. Sono invece d’accordo con te sull’omissis, nel film, del Tramonto della luna (estremo canto leopardiano intriso di saggezza oltre il pessimismo, come ben sappiamo); del resto, Anna, come meravigliarsi di tale omissione considerando il trattamento riservato al Canto notturno, nel Giovane favoloso? evidentemente è dura a morire (come non ho mancato di sottolineare nel mio scritto) una visione riduttivo-idillica della grande poesia leopardiana: laddove la luna, nei Canti (è proprio il caso di dirlo), compie tutto il suo giro fino ai versi senza appello del citato Tramonto. Non posso che ringraziarti profondamente, in ultimo, per le gratificanti parole di apprezzamento riservate all’articolo e al suo autore. Un abbraccio anche da parte mia

  14. andreamariotti Autore articolo

    Cara Grazia, concordo pienamente con te citandoti a mia volta in merito alla fruizione del film di Martone: “gratitudine verso quanti hanno, senza risparmiarsi, con impegno e qualità, affrontato un così arduo compito, uscendone dignitosamente” (corsivo mio, a sottolineare il sentimento in me prevalente a distanza di giorni dalla visione del film e anche dalla stesura del testo presentato nel blog). Indubbiamente non è e non sarà facile per gli studiosi di Leopardi confrontarsi con un film sul grande Recanatese; un film tuttavia mancante, finora; sicché, essenzialmente un grazie occorre dire a Mario Martone. L’ho già scritto ma converrà ripeterlo, non escludendo la mia persona: del Giovane favoloso risultiamo, sembra banale affermarlo, spettatori. Con diritto di critica, naturalmente; motivata, però; a posteriori; non frutto di rigidi, accademici pregiudizi. Un caro saluto a te

  15. Bianca 2007

    Aggiungere una virgola a questa splendida e dettagliata relazione sarebbe inquinarne il valore. Lascio allora un bravissimo ad Andrea, accompagnato da un grazie per questa perla custodita come rarità di tempo decadente e tronfio per saccente accademico alquanto noioso. Mirka

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