Svanirono le nevi, tornano già le erbe
nei campi, agli alberi le chiome;
la terra muta vicenda, e i fiumi
decrescendo scorrono fra le rive;
La Grazia, con le Ninfe e le sue gemine
sorelle, osa guidare ignuda le danze.
Ma l’anno e l’ora che rapisce i fecondi giorni
ti ammoniscono a non nutrire speranze immortali.
Il freddo si mitiga agli Zefiri, la primavera
cede all’estate che morrà appena
il fruttuoso autunno avrà effuso i frutti,
e presto torna l’inerte inverno.
Il danno del cielo tuttavia riparano veloci lune;
noi, come cademmo
dov’è il padre Enea, e dove il ricco Tullo e Anco,
polvere e ombra siamo…
Orazio, Carmina IV, 7, 1-16 (nella traduzione di Luca Canali, scomparso quest’anno)