2014-04-12 12.42.58

Accanto ad un non entusiasmante busto in bronzo di Pier Paolo Pasolini nella piazzetta di Chia, il borgo della Tuscia Viterbese -non distante dalla suggestiva e omonima Torre che il grande scrittore e regista riuscì ad acquistare, affascinato dalla bellezza del luogo dove aveva girato la scena del battesimo per il  Vangelo secondo Matteo del 1964- è riportata in italiano una toccante poesia pasoliniana in friulano del 1974 (dal titolo Ciants di un muàrt, inclusa nella raccolta La nuova gioventù; 1941-1974) che ieri ho letto con emozione…ne trascrivo, qui, di essa, la parte centrale:

Contadini di Chia!/ Centinaia di anni o un momento fa,/ io ero in voi./ Ma oggi che la terra/ è abbandonata dal tempo,/ voi non siete in me./ Qualcuno/ sente un calore nel suo corpo/ una forza nel ginocchio…/ Chi è?/ I giovani sono lontani/ e voi non parlate…Quelli che vanno a Viterbo/ o negli Appennini dov’è sempre Estate,/ i vecchi, mi assomigliano: / ma quelli che voltano le spalle,/ Dio, / e vanno verso un altro luogo…Dio,/ lasciano la casa agli uccelli,/ lasciano il campo ai vermi,/ lasciano seccare la vasca del letame,/ lasciano i tetti/ alla tempesta,/ lasciano l’acciottolato all’erba,/  e vanno via/ e la dov’erano/ non resta neanche il loro silenzio

Pier Paolo Pasolini

 

Mia la foto qua sopra della Torre di Chia, dove Pasolini ebbe a scrivere, fra le opere maggiori, le Lettere Luterane (postume) e l’incompiuto romanzo Petrolio.

4 commenti su “

  1. Franco Campegiani

    Caro Andrea, era un po’ che non frequentavo il blog, non certo per pigrizia, ti assicuro, ma perché preso da altri impegni. Mi sono sfuggite molte proficue notizie e stimolazioni, ma quello che più mi rammarica è di essermi perso questa poesia pasoliniana nel momento in cui l’hai proposta. Ne prendo visione soltanto adesso con emozione profonda e cerco di recuperare il tempo perduto. Conoscevo il vincolo viscerale che legava Pier Paolo alla cultura contadina, ma questi versi struggenti non li conoscevo. Hanno la potenza di una verità sconvolgente e ti confesso che sono tutto un brivido. La civiltà contadina! Era ben consapevole, Pier Paolo, che non esiste – perché non può esistere – altro tipo di civiltà per gli umani, nati sulla terra e dalla terra. Per cui la fine di quella civiltà non può che corrispondere alla fine della civiltà stessa in assoluto. Che senso può avere un’umanità che fa del tutto per affrancarsi dalla madre che l’ha partorita e che, nonostante tutto, continua a tenerla in vita? Quanto può durare una cultura che, non da oggi, ma da secoli, viene tagliando il cordone ombelicale che la lega alla natura, e dunque alla vita, offendendo quel sentimento di appartenenza al creato che era profondamente radicato nei contadini di un tempo? Quella di Pasolini era, per questo, una visione sacrale dell’esistenza. Una visione misterica, direi, e cosmocentrica (anziché antropocentrica) della vita, che si rivolgeva con rabbia contro il dispotismo e la spocchia di un’umanità sempre più aggressiva e irrispettosa, innanzitutto di se stessa e poi di tutto il vivente. Se l’homo sapiens sapiens non mostra di essere realmente tale, ravvedendosi e risvegliandosi, finché può farlo, da tale borioso e distruttivo torpore, è giunto davvero al capolinea e siamo alla fine. Ma non si tratta di tornare nostalgicamente al passato, come una subdola propaganda tenta di insinuare, bensì di rinnovare con modalità inedite, adatte ai tempi nuovi e futuri, il patto di alleanza dell’uomo con l’universo intero. La cultura contadina non è mai stata immobilista, come si vuole far credere, ma si è trasformata mille volte nel corso della sua storia millenaria, mantenendo inalterati i suoi principi di fondo. Sono arciconvinto che ciò sia fattibile anche nei tempi attuali. Un caloroso abbraccio.

  2. andreamariotti Autore articolo

    Caro Franco, sono lieto di aver suscitato in te grazie a questo articolo un’emozione viva e profonda, il cui riscontro è dato dal bellissimo commento che mi hai inoltrato. In effetti i versi in oggetto di Pasolini sono di struggente bellezza, asciutti e accorati ad un tempo. Speriamo, come giustamente sostieni, che l’homo sapiens-sapiens sappia trovare in se stesso -senza sterili passatismi- la forza e l’intelligenza per una vera e propria riconsacrazione del sacro: il legame vitale con la madre-terra. Un caloroso abbraccio anche da parte mia.

  3. Francesco

    Questi versi che proponi sono piacevoli sberle per destare le nostre coscienze. Come puntualizzato anche da Franco non può esistere altra civiltà se non quella basata sul valore della Terra. Il legame con la nostra terra madre che nutre la nostra infanzia e che in seguito abbandoniamo, inseguendo nuove fortune.
    Per molti succede così, si lascia la terra perché difficile da governare e da far fruttare, infatti, non può offrire mai abbastanza per tutte le necessità superflue che ci circondano nella società moderna. Ho lasciato la campagna perchè abbagliato dalla facilità di un futuro più semplice, senza rendermi conto che adesso è quel mondo che mi manca tanto, ma sono sicuro che la famiglia che ho costruito adesso non sarebbe pronta a rinunciare a quello che abbiamo per una vita più rurale.
    Sulla scia di questo flusso emozionale generato dalle parole di Pasolini, di Franco e tue Andrea, ho scritto una mia composizione

    http://sospensionimolecolari.blogspot.it/2015/02/lappartenenza.html

    Un caro saluto
    Francesco

  4. andreamariotti Autore articolo

    Si tratta di versi poco conosciuti del poeta, Francesco, ma piuttosto accorati, struggenti. Nella piazzetta di Chia (Viterbo), si leggono come ho scritto in una tabella metallica posta accanto al busto in verità tutt’altro che riuscito di Pasolini. Pazienza. A contare sono i versi in oggetto. Un caro saluto

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