Sabato scorso 7 dicembre, in occasione della XII Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria (all’interno del Palazzo dei Congressi di Roma), ho potuto seguire la lettura di poesie a cura di Edizioni Tracce di Pescara, moderata dalla poetessa Nicoletta Di Gregorio. Ebbene, a suscitare in me vivo interesse all’ascolto, è stata la poesia di Mario Lunetta che oggi mi accingo a presentare (il testo in oggetto è peraltro frutto di una mia scansione, avendomelo il poeta generosamente donato senza pensarci troppo; tant’è che i visitatori del blog perdoneranno l’assenza, nello scritto, dell’accento sulla parola sueno, non riproducibile in questa sede). Ciò premesso, dovrò qui ricordare che Mario Lunetta non ha davvero bisogno di presentazioni, essendo un valoroso poeta; anzi, più ancora uno scrittore a tutto tondo e di lungo corso (due volte finalista al Premio Strega); critico d’arte e collaboratore di prestigiose testate giornalistiche. Varrà nel caso, per i visitatori del blog, il seguente link, tracce.org/LunettaMagnificat.htm, per un’idea più stringente sull’autore, da me conosciuto agli inizi degli anni Novanta e alla cui prefazione relativa al libro di Claudio Monachesi, Poesia per la Radiologia (Pioda Editore, 2012), ho avuto l’onore di far seguire la mia, in detto libro. E’ giunto però il momento di fare spazio ai versi di Lunetta che sabato scorso come dicevo mi sono piaciuti all’ascolto e più ancora leggendoli, non senza aver precisato che la foto qua sopra, mia, un particolare della base del candelabro per il cero pasquale dei Vassalletto (sec.XII; candelabro custodito nella basilica romana di San Paolo fuori le Mura) mi è venuta in mente pensando alla “poesia dialettica” dell’autore (da me particolarmente stimato in quanto, in una parola sola, scriptor rerum, nel senso più esaustivo del termine, come risulta dalla visualizzazione del link sopra suggerito):
Che
Le sculture terribili che deturpano i giardini
I pianeti nervosi che infastidiscono la terra
La terra che fa impallidire il sole dalla vergogna
I morti che masticano chewing gum per fingersi ancora vivi
Le farmacie che vendono ormai soltanto spaghetti allo iodio
I centri di studi astronomici che si impegnano soprattutto nelle ricerche poliziesche
La Pizia Napolitana che è ormai il premier di questo triste paese
I saggi critici che hanno perso la saggezza
I sampietrini che hanno un frisson quando spezzano i tacchi a spillo
Il tempo che passa senza essere un passante
Le ragazzine quattordicenni che sono ormai navigatissime escort
I lettori di libri che si sono trasformati in accaniti tablettisti
Gli ebrei che hanno optato per l’antisemitismo militante
I cani che per protesta hanno rinunciato a abbaiare
I pesci che sorridono prima di finire in padella
La verità che non cessa di travestirsi da menzogna
Le motociclette allineate che sembrano spartani alle Termopoli
La vida che s’è svegliata da un troppo lungo sueno
I mattini che non si innamorano più delle notti
L’arte che ha imparato a mettere da parte gli artisti
Il supermarket sensazionale che si chiama politica
Le madri annichilite che ammazzano i loro figli
I cineasti di successo che si buttano dalla finestra
La voglia di fragola di quelli che non amano le fragole
Gli atei più sofisticati che pèrdono la fede
Il calcio che vorrebbe tornare ad essere uno sport
La Bocca della Verità che per disprezzo non apre più le labbra
I meccanici che usano il bisturi meglio di tanti chirurghi
La superbia dei libri che vorrebbero essere rilegati in pelle umana
Questo testo che è incapace di prolungare il proprio inutile delirio
30 ott.013
poesia di Mario Lunetta
Ti ringrazio, caro Andrea, per il poeta che oggi presenti: Mario Lunetta, un esponente di rilievo dell’avanguardia letteraria. Autore stimolante e prismatico, come poeta, da sempre, pone in essere una mordace critica del costume, una satira feroce ed anticonformista, di cui è puntuale testimone la poesia che ci offri nel blog: una corrente nera e calda, un fiume amaro e beffardo, un vento torbido, un grido rabbioso, vorticoso e labile, che ha la potenza del precario, con quell’affastellarsi di figure, quell’assemblarsi di cose e persone. Poeta oggettuale e surreale, di ascendenze strutturalistiche, apertamente antiidealistiche, Lunetta dà qui vita ad una versificazione antipoetica e prosastica, dall’andamento volutamente sgraziato e dodecafonico. In questo onirismo straripante, paradossalmente fuso con un acuto senso della realtà, l’esistenza appare come un treno che corre a velocità folle verso il vuoto. Il domani è un buco nero. C’è la percezione della catastrofe in questo fuoco d’artificio verbale: un dire oltremisura, un multiloquio vaniloquente, uno stordimento neobaroccheggiante, un magma ribollente e labirintico di vacuità. Io amo profondamente questa poesia nichilistica, caro Andrea, perché credo nelle valenze purificatrici e rinnovatrici, palingenetiche, di ogni apocalisse, di ogni blackout, di ogni salutare crollo di civiltà.
Grazie a te, caro Franco, per questo tuo denso e limpido commento. L’ottimo Mario Lunetta, classe 1934, non ha davvero perduto negli anni il gusto dello sberleffo, maestro com’è di una satira feroce nei confronti di un becero conformismo sagacemente eterodiretto. Certo, il suo eloquio corrosivo disturberà sine die i puristi e i melomani, in poesia. Eppure, la mattina del 7 dicembre, è stato quanto mai stimolante sentire i suoi versi artigliare il reale nel quale ci troviamo immersi; infischiandosene, il poeta, di qualsivoglia bellezza da celebrare poeticamente (anche e soprattutto a fronte di atteggiamenti, comportamenti sempre più insensati e distanti dalla vita, come i versi in oggetto puntualmente rivelano).