E poi ci accusano di essere ansiosi…buon anno a tutti, naturalmente. Ma che dire dei saldi di fine stagione invernale iniziati in Italia 24 ore dopo il brindisi di capodanno? Mi pare opportuno proporre, al riguardo, la prima strofe di una mia poesia del gennaio 2003 (fotografia del CORRIERE DELLA SERA):
METRO’
Vorrei non più sentirmi entro una gabbia,
uscirmi assai di vista, esser per tutti
rompighiaccio d’un bel colore arancio.
Con levità si desta questo afflato
profondo e terso, brezza d’esistenza.
Ma le atlantiche nubi non si dànno
per vinte: spadroneggiano rigonfie
d’ira contro un’ipotesi d’azzurro.
Nero di storni ho visto tutto il cielo;
era il tramonto, i frettolosi passi
verso il parcheggio del metrò dei topi
che siamo, frecce con le chiavi in mano.
Dal panettone al fritto in un baleno:
il carnevale incombe. O me tapino,
dinanzi ai baci di San Valentino
sollevati alla gloria degli altari!
Andrea Mariotti, poesia del 2003, poi inclusa in Spento di sirena l’urlo, 2007, Ibiskos Editrice Risolo.
Caro Andrea, ‘rompighiaccio’ d’un’esistenza chiusa nelle gabbie di logori rituali, di feste senza senso, esaltate per regalarsi un senso. Non da topi di fogna nel metrò, le nostre storie prive di misura, di autonomia di pensiero, di libertà.
Arresi a vite da reclusi possiamo effettivamente limitarci a prendere atto del movimento delle nuvole, torve o serene, ma padrone di se stesse.
Un canto in endecasillabi perfetti per giorni simili alle aste dei bimbi sui quaderni. Tutti uguali, tutti simili a compiti da svolgere meccanicamente.
Bravo Andrea, sei sempre stato capace di guardare più lontano degli altri…
Grazie, Maria, per questo tuo commento ai miei versi; avendo tu percepito la passione civile in essi vibrante, credo di poter dire. Spesso mi è capitato di affermare che “sentire” secondo la metrica della nostra tradizione ha comportato, per me, al di là di un mero fine estetizzante, piuttosto la spinta a compiere quel salto che ci fa avvicinare alla poesia; pur partendo (e non potrebbe essere altrimenti) dal pronunciamento personale. Un abbraccio. Andrea
Caro Andrea, già dall’incipit “Vorrei non più sentirmi entro una gabbia”, si denota la tua sofferenza per un mondo e per un modo di vivere banale e assai spesso privo di senso. Un mondo dove regna la superficialità e che tu riesci poeticamente a delineare nel suo grigiore quotidiano. Non per niente dici: “Nero di storni ho visto tutto il cielo; era il tramonto”! Ecco penso che tu abbia ragione. Si è persa anche la possibilità di ammirare quanto di poetico e di bello ci circonda.
Grazie per avermi fatto riflettere.
Angiolina
Grazie a te, Angiolina, per aver colto una conflittualità accesa, vibrante, nei versi citati che, mistero dello scrivere, rimangono fra i più musicali usciti dalla mia penna, in assoluto. Eccomi pertanto contento quando gli occhi del lettore si fermano su di essi non superficialmente. Merito degli storni, dovrei dire: da tanti inverni li osservo annerire il cielo, al tramonto, a Roma; e la loro vista mi suscita inquietudine profonda…al punto che la silloge da cui ho estrapolato Metrò, è come segnata dalla loro presenza: memoria profonda del grande film di Hitchcock, Gli Uccelli?
Un caro saluto.
Andrea