2013-06-16 13.47.58

A termine di una pesante giornata di lavoro come quella odierna, uno stimolante incontro nella biblioteca romana Pier Paolo Pasolini per commentare un classico dei classici della letteratura del Novecento non soltanto europeo: Voyage au bout de la nuit, di Louis-Ferdinand Céline. Mi permetto qui di riportare un breve, per me indimenticabile passo di tale capolavoro (tratto dalla traduzione italiana di Ernesto Ferrero, Corbaccio Editore):

Quel che è peggio è che uno si chiede come l’indomani troverà quel po’ di forza per continuare a fare quel che ha fatto il giorno prima e poi già da tanto tempo, dove troverà la forza per quelle iniziative sceme, quei mille progetti che non arrivano a niente, quei tentativi per uscire dalla necessità opprimente, tentativi che abortiscono sempre, e tutti per arrivare a convincersi una volta per tutte che il destino è invincibile, che bisogna sempre ricadere ai piedi della muraglia, ogni sera, sotto l’angoscia dell’indomani, sempre più precario, più sordido. Forse è anche l’età che sopraggiunge, traditora, e ci annuncia il peggio. Non si ha più molta musica in sé per far ballare la vita, ecco. Tutta la gioventù è già andata a morire in capo al mondo nel silenzio della verità. E dove andar fuori, ve lo chiedo, quando uno non ha più dentro una quantità sufficiente di delirio? La verità, è un’agonia che non finisce mai. La verità di questo mondo è la morte.”

Essendo io un poeta, al cospetto del suddetto passo, penso innanzitutto al canto leopardiano intitolato Il tramonto della luna, come pure a Meriggiare pallido e assorto di Eugenio Montale, poesia scritta a vent’anni dall’autore degli Ossi di seppia (mia la foto qua sopra della stupenda Porta Aeropago che si ammira ad Alatri, nel frusinate, costeggiando la suggestiva Acropoli della cittadina).

8 commenti su “

  1. Bianca 2007

    Coraggioso veramente per la grandezza di affrontare un quotidiano NON corrispondente ricavandone rivincita di poesia.
    Un’abbraccio sentito dal profondo.

    Mirka

  2. andreamariotti Autore articolo

    Questo passo, infatti, a parer mio, al di là di un tetro pessimismo, risplende come tesoro sapienziale. Un abbraccio forte anche da parte mia

  3. massimo

    Carissimo Andrea, sinceramente parlando il libro in questione non l’ho mai letto, ma dallo scritto, dallo stralcio che ci hai mostrato, si evince un profondo e frustrante stato di malessere motivato senza dubbio, dalle profonde e dolenti delusioni che troppo spesso la vita ci “regala”. E’ una lettura amara, io stesso mi ci identifico; drammatiche situazioni di disagio, quasi impossibili da gestire, condizionano e plasmano l’individuo in un palese vittimismo, ovvero nell’abbandono della speranza. Cosa fare dunque per non franare nel giro vizioso del rancore, delle occasioni mancate, del forse potevo? La “cura” a questo lento avvelenamento del male, si può (forse) trovare attraverso la condivisione, ovvero di riuscire a godere di quegli eventi, passati, ma forse ancora presenti, che come soli brillano e riscaldano la nostra anima. Una marcia avanti, un stimolo alla vita e quindi non più il buio pessimismo, ma una condizione di luce più che crepuscolare, dove alimentare sentimenti e nuove speranze. Contrariamente a quanto Louis-Fernand Céline afferma, la verità non è un’agonia che non finisce mai, l’agonia termina nel momento in cui ci riprendiamo la ferma volontà di lottare e di abiurare le falsità mediatiche che presumibilmente ci impediscono di essere lucidi e vivi. Un benevolo abbraccio.
    Massimo

  4. andreamariotti Autore articolo

    Carissimo Massimo, ho apprezzato innanzitutto la tua franchezza nell’affermare di non aver letto quello che rimane (a livello di critica e di pubblico) uno dei massimi capolavori della letteratura del Novecento (scritto peraltro da un autore parecchio controverso, anche e soprattutto per le posizioni politico-ideologiche assunte durante la seconda guerra mondiale; pensando qui ai tre libelli antisemiti da lui pubblicati che gli procurarono l’esilio in Danimarca e un processo per collaborazionismo). Ciò premesso, sono consapevole che l’estrapolazione del passo da me citato da un romanzo complesso quale il Voyage comunica il senso di un pessimismo tetro rispetto al quale è naturale e umano ribellarsi (qui su questa terra dove siamo di passaggio). Tuttavia, mi permetto di dire, la pur sacrosanta posizione critica da te espressa, che sia il preludio alla lettura di un testo dove campeggiano il riso, l’abiezione, la lucidità di sguardo sul reale (il tutto sorretto dall’invenzione di un linguaggio tutt’altro che letteraturizzato ; anzi, di contro, incisivo e plastico, senza veli, di pancia; in ogni caso potentemente destabilizzante nei riguardi del decoro classicista). A parte tutto ciò, che forse non è poco, aggiungerei anche che il passo da me riportato potrebbe essere fruibile in chiave di pessimismo energetico, vitale; cioè tale da stimolare nel lettore una sana reazione a vivere, operare. Leopardianamente poi, mi sento di citare qui un passo per me significativo del grande Recanatese: “…così rido del genere umano innamorato della vita; e giudico assai poco virile il voler lasciarsi ingannare e deludere come sciocchi, ed oltre ai mali che si soffrono, essere quasi lo scherno della natura e del destino. Parlo sempre degl’inganni non dell’immaginazione, ma dell’intelletto…” (Dal DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO, il testo che chiude le Operette morali di Leopardi; corsivo mio). In sintesi, almeno nelle mie intenzioni ma anche per condivisa acquisizione critica e dei lettori, ecco che il passo di Céline in oggetto, come ho già avuto modo di osservare in risposta a un altro commento, vale forse come tesoro sapienziale da impugnare criticamente a livello personale ma risultante ben radicato, esso, nell’alveo delle grandi correnti del pessimismo occidentale (Nietzsche, Schopenhauer e per l’appunto Leopardi, i primi nomi che mi vengono in mente). Un benevolo abbraccio anche da parte mia.

  5. Grazia

    Nel suo film del 1967 “Edipo Re”, Pier Paolo Pasolini fa pronunciare ad Edipo queste parole: “Ora tutto è chiaro, voluto, non è destino”, proprio nel momento in cui egli assume la piena consapevolezza dell’atrocità degli eventi che lo hanno coinvolto e tutto sembra destino e niente affatto voluto.
    Pasolini, intervistato da Jon Halliday (“Pasolini su Pasolini Conversazioni con Jon Halliday” – Ugo Guanda Editore, 1992. pag. 113), attribuisce a Sofocle stesso questa frase e afferma di trovarla assolutamente misteriosa, enigmatica e incomprensibile. In realtà questa citazione nella tragedia di Sofocle non c’è e il passo al quale si riferisce, nella traduzione di Ettore Romagnoli, riporta le parole seguenti:
    ÈDIPO:
    Ahimè, ahimè! Tutto è già chiaro! Luce!
    In te m’affisi per l’ultima volta!
    Ch’io da chi non dovea nacqui, convivo
    con chi non devo, e ucciso ho il padre mio!
    Nonostante l’inesattezza, l’interpretazione di Pasolini appare una scelta preziosa: fornisce l’ultima possibilità a chi si trova schiacciato da eventi più o meno mostruosi, quotidiani o eccezionali. Pasolini sembra voler dare un peso alla volontà del protagonista, anche di fronte all’impossibilità di sovvertire l’epilogo già scritto da fatti le cui conseguenze ricadranno su di sé e sulla sua progenie.
    Non resta che tentare, caro Andrea, anche quando la vita si mostra come un percorso travagliato, di vedere, e se possibile rendere, meno aguzzi i cocci di bottiglia che costellano la muraglia che ci limita, prima di arrivare alla nostra ultima aurora. Saluti cari, Grazia

  6. andreamariotti Autore articolo

    Un ringraziamento per questo tuo articolato commento, cara Grazia: non si rifletterà mai abbastanza sulla complessa eredità culturale di Pasolini, improvvisatori a parte (sempre più disinvolti). La mia concordanza con la conclusione del tuo scritto è, come dire, nelle cose: non dev’essere un caso, credo, l’aver infatti voluto da parte mia dedicare l’articolo successivo del 24 novembre a Beethoven, l’alfiere per eccellenza della Gioia a se stessa bastante (…”la gioia veniva sempre dopo il dolore”, canta il poeta Apollinaire). Un caro saluto

  7. Franco Campegiani

    Mi interessa molto, caro Andrea, il concetto da te espresso (qui come in altre circostanze) di “pessimismo energetico”, in grado di “stimolare una sana reazione a vivere, operare”. Come sai, io sono filosoficamente attratto dalla teoria dell’armonia dei contrari, pertanto trovo di grande interesse questa tua argomentazione. Ritengo che positivo e negativo non esistano separatamente, bensì come poli di una reciproca e magnetica attrazione. Non c’è l’uno senza l’altro e ciò dà luogo ad una tensione energetica che consente di riequilibrare costantemente le sorti dello squilibrio e del caos, altrettanto costanti, che alimentano la vita universale. Quando, come scrive Céline, “non si ha più molta musica in sé per far ballare la vita” non è perché si sia esaurita la musica o non si abbia più “una quantità sufficiente di delirio”, ma semplicemente perché noi chiudiamo, più o meno consapevolmente, quei canali di afflusso, il che ci provoca una carenza di equilibrio e di energia. In pratica, non riusciamo più a vedere il rovescio della medaglia, così la vita ci appare senza sbocchi ed il mondo si riduce ad un solo colore, bianco o nero che sia. Trovo stupenda l’immagine da te fotografata dell’acropoli di Alatri, con quella porta in alto che fa intravedere un mondo sconosciuto, misterioso. Un ignoto verso cui l’impervia scala può condurre, salendola, ma da cui la stessa scala, discendendola, ci può allontanare. Un forte abbraccio

  8. andreamariotti Autore articolo

    Grazie davvero, caro Franco, per questo tuo commento che coglie in profondità tanto lo spirito in base al quale ho proposto il passo di Céline quanto l’idea di suggellarlo visivamente con la foto dell’Acropoli di Alatri. E del resto le grandi narrazioni non prendono forse le mosse dalla durezza (per usare un eufemismo) indiscussa dell’esistenza? valga, ad hoc, la terribile pestilenza che infuriò nel continente europeo a partire dal 1348, la cui realistica descrizione costituisce la premessa del ritirarsi in “contado”, non distante da Firenze, da parte dell’allegra brigata di aristocratici giovani, nel Decameron di Giovanni Boccaccio; per godere del sottile e salutare piacere del novellare…mi viene poi qui in mente un altro formidabile cantore del cuore umano, Giuseppe Verdi, di cui sarebbe ozioso rammentare il peso nel complesso processo culturale che accompagnò il nostro Risorgimento (un genio musicale tutt’altro che ottimista o distante dalla crudezza del vero). Gli esempi a sostegno di questo scatto verso una calda e schietta adesione alla vita partendo dal negativo sarebbero innumerevoli, nelle arti come nei costumi di secoli e secoli di umana storia. Fermiamoci qui. Mi fa piacere che tu abbia trovato stimolante il presente articolo, in relazione ai punti nodali della tua riflessione filosofica che seguo con costante attenzione. Un forte abbraccio anche da parte mia

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