Di un grandissimo poeta della nostra storia letteraria oggi intendo parlare: alludo a Giovanni Della Casa, l’autore del famoso Galateo; ma, soprattutto, lirico insigne del nostro Cinquecento (morì, cinquantatreenne, nel 1556, e fu sepolto nella chiesa romana di Sant’Andrea della Valle). Giovanni Della Casa (nunzio apostolico al tempo del Concilio tridentino), che morendo aveva insistito acciocché “si abbruciassero tutte le sue scritture di composizioni” risulta davvero un poeta di eccezionale competenza stilistica, come dimostrano le sue Rime. Chi si è confrontato con esse, sa benissimo che la forza del “Monsignore” consiste in un saldo possesso del codice petrarchesco, da lui tuttavia lacerato in virtù di potenti spezzature dei versi (a rafforzare l’intonazione “grave” di sonetti che molto hanno insegnato al Tasso, al Foscolo e ad Andrea Zanzotto, il poeta di Pieve di Soligo scomparso due anni addietro). Così è quasi scontato presentare qui il sonetto forse più conosciuto del Casa, d’una sovrana, indimenticabile bellezza (mia la foto qua sopra, che ci permette di ammirare un’opera del Bernini di grande espressività; si tratta, per l’esattezza, del busto marmoreo di Gabriele Fonseca, custodito nella chiesa romana di San Lorenzo in Lucina):
LIV
O sonno, o de la queta, umida, ombrosa
notte placido figlio; o de’ mortali
egri conforto, oblio dolce de’ mali
sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa;
soccorri al core omai che langue e posa
non have, e queste membra stanche e frali
solleva: a me ten vola o sonno, e l’ali
tue brune sovra me distendi e posa.
Ov’è ‘l silenzio che ‘l dì fugge e ‘l lume?
e i lievi sogni, che con non secure
vestigia di seguirti han per costume?
Lasso, che ‘nvan te chiamo, e queste oscure
e gelide ombre invan lusingo. O piume
d’asprezza colme! o notti acerbe e dure!
Caro Andrea,
è la prima volta che intervengo in un blog.
Da musicista, conoscevo quel testo attraverso la musica sublime di Cipriano de Rore, compositore fiammingo (ca. 1516 – 1565), che lo pubblicò nel suo secondo libro di madrigali, del 1544, più volte ristampato.
“O sonno”, è tra i più celebri madrigali di Cipriano de Rore.
Il sonetto fu messo in musica anche da un altro compositore fiammingo, Jaches de Wert (1535 – 1596), nel suo primo libro di madrigali a 5 voci, del 1558.
Per chi volesse ascoltare la versione di Cipriano de Rore, la può trovare a questo link:
http://www.di-marino.it/O_sonno.mp3
nell’esecuzione del Daedalus Ensemble, diretto da Roberto Festa, tratta dal CD Saturn And Polyphony, Accent, 1998
Grazie per aver presentato il sonetto.
Vale.
Vania
Cara Vania, benvenuta davvero in questo blog! e un ringraziamento a mia volta per le preziose notizie che hai inoltrato al riguardo. Colgo l’occasione per segnalare ai visitatori di questo stesso blog il mio articolo del 21 maggio scorso in merito al bellissimo concerto da te offerto al pubblico assieme a Maria Pia Jacoboni Neri, presso la Biblioteca Casanatense di Roma. Vale
Grazie, Andrea, del benvenuto! e grazie per avermi dato l’occasione di ritornare con la memoria al 21 maggio scorso. Ne serbo un dolcissimo ricordo.
Tornerò in queste pagine con qualche altro commento.
Stai sano, e vivi felice!
Carissimo Andrea,
di ritorno dalle vacanze, trovo il sonetto di Giovanni Della Casa, legato alla metrica e,. al tempo stesso, rivoluzionario, in quanto teso a darle sferzate di novità stilistica, come sottolinei con il consueto acume.
Inevitabile ascoltare l’eco del Petrarca, ma altrettanto inevitabile, confrontarsi con un versificare sanguigno, innovativo, rispetto al Poeta che seppe ispirarlo e , soprattutto, attuale, nonostante il tono aulico e i termini desueti del sonetto.
La chiusa sembra scritta per i nostri tempi e induce a riflettere sui ‘corsi e ricorsi storici’ cui alludeva il Vico, spesso giustamente contestato.
Ti ringrazio del tributo e mi permetto di ringraziare anche la musicista Vania Dal Maso, che illumina le nostre menti di nuove conoscenze.
Un abbraccio.
Da tempo, cara Maria, avevo in mente di presentare nel blog un sonetto a me particolarmente caro, per la sua bellezza “grave” e purissima. L’intervento di Vania Dal Maso ha in effetti non poco arricchito l’articolo, come ho già avuto modo di scriverle. Un abbraccio