Nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374 chiudeva gli occhi Francesco Petrarca. La voglio rammentare qui, tale ricorrenza, per la prima volta nel presente blog, essendo attualmente impegnato nella memorizzazione del leopardiano CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA; laddove, per l’ultima volta nella sua esperienza poetica, il Recanatese attinge a piene mani al sublime linguaggio petrarchesco (linguaggio comunque potentemente trasfigurato dal pensatore dello ZIBALDONE: si veda, al riguardo, la seconda lassa del canto). Ma tornando strettamente a Petrarca, come negare la forza del suo insegnamento attraverso secoli e secoli di poesia non soltanto italiana? Petrarca, da cui è scaturito un epigonismo anche stucchevole e servile, rimane fondamentale all’interno delle nostre istituzioni letterarie; maestro di purezza ed eufonia (“perché ci vuole orecchio…”, cantava il compianto e geniale Jannacci, se non sbaglio). A Petrarca, vera e propria fonte degli endecasillabi che sgorgano dal cuore, dedico la foto qua sopra, mia.