Nell’augurare ai visitatori del blog una serena Pasqua, eccomi a presentare i versi da me scritti ieri sera.
“Sorelle montagne”, il loro titolo iniziale; ma, scrivendo, come un rovesciamento della situazione poetica, fino a perdere metri e metri di quota. Del resto il “fondovalle” lo si indovina anche nella foto qua sopra (mia), tutta rivolta a cogliere la candida maestà del lontano Gran Sasso:
FONDOVALLE
Mirarvi dopo più di un mese
sabato scorso nel tempo
del disgelo, o cime candide
d’Abruzzo! i venti tiepidi
di cresta lo scacciano,
il tossico dal sangue;
le primule, d’infinita
tenerezza…ma oggi
in ufficio han scherzato,
saputo di un collega
suicidatosi a distanza
d’anni luce da una falla
di pietà.
Andrea Mariotti, poesia inedita, 26 marzo 2013
Carissimo Andrea, questo tuo nuovo, incisivo, componimento conferma a mio parere il carattere fortemente problematico della tua poesia. Le altezze rovinano a valle e le valli reclamano le sommità, in un rimando reciproco. I dolci zefiri si tuffano sulle nevi immacolate, e queste si sciolgono all’abbraccio, vitale e mortale nello stesso tempo. In pochi versi lapidari, come scolpiti su pagina di marmo, tu cogli la compenetrazione misteriosa e vicendevole dei contrari in natura. Mi complimento. E trovo molto appropriata l’irruzione sulla scena della diabolica personalità umana, tutta tesa ad infrangere tali armonie con piccinerie e meschinità riprovevoli, distanti anni luce da ogni falla di pietà, come tu dici. Un saluto affettuoso
Di fronte a questa poesia “finissima”, “stridente”, quanto “terribile” nella chiusa, mi sono domandata, col cuore che martellava d’angoscia e, insieme di rabbia-dolorosa, se mai l’uomo potrà ritrovare quel filo necessario per arrivare al suo “nucleo centrale” di primogenitura da cui si partì per evolverci a uomo lasciando fuori la bestia; uomo ora risucchiato dal “grigio” dell’ombra o da una globalizzazione che gli ha creato un’identità comprata in un supermercato e riprodotta su un coperchio di latta messo a chiudere una scatola fatta di buchi.
Dirompente il chiedersi:” Ma chi ho davanti?”…”Chi è il mio interlocutore?”…”E io chi sono?”…
E qui mi fermo, sconvolta e inorridita, per lasciare che vibri, nell’oggi e per chi verrà, l’implacabile giudizio, l’urlo del poeta, perchè, se è pur vero che il “semaforo della coscienza personale” si è rotto, resti, almeno, nell’aria, un monito di “stagione breve” al “fondovalle” o nel “tossico del sangue”.
Scossa profondamente, nel fondo del mio cuore, ti abbraccio e con te mi complimento per la visione di bellezza contrapposta all’orrido del brutto.
Mirka
Carissimo Franco, nel ringraziarti per il tuo apprezzamento relativo a questi miei versi, aggiungo di aver trovato interessante la tua lettura di essi sotto il segno dei “contrari” (che costituiscono il perno della tua riflessione filosofica). Non altrimenti potrei spiegarmi, infatti, dopo la contemplazione delle candide cime, la mia immersione a corpo morto nel fango del fondovalle, dove ho trovato l’umana abiezione…fatti non fummo a viver come bruti! un abbraccio
Commosso a mia volta, Mirka, per questo tuo umanissimo e stringente commento, posso solo dirti che ricordo la saettante rapidità con la quale ho scritto questa lirica dopo una giornata faticosissima, rispondendo nel contempo al telefono ed altro…evidentemente la Musa mi stava…scrivendo; sinistramente, in quanto uomo (prima ancora che poeta) che deve fare i conti con questa direi spietata fatuità a tutto indifferente. Concludo segnalando che Fondovalle è stata letta con accoglienza favorevole dal professor Lucio Felici, presidente del comitato Scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani e dal professor Antonio Prete, docente di Letterature Comparate presso l’Università di Siena e saggista di prestigio internazionale. Un abbraccio
Esco da casa, dopo una notte di vento impetuoso che ha sconvolto il mio sonno, e il mio animo quasi cede all’impulso di smarrirsi tra il cielo affollato di nubi scure e l’asfalto gonfio di pioggia. Ma ecco che un’ancora giunge a ripescarmi: a dispetto del tempo autunnale, Aprile rivendica la sua appartenenza alla primavera nel modo più suggestivo e struggente che può, ponendo davanti ai miei occhi le gemme e i primi minuscoli fiori di una siepe di glicine.
Sento in me un nuovo vigore, la voglia di rinascere e subito riaffiorano alla mente le parole che il poeta Pier Paolo Pasolini dedica a questa pianta inebriante:
… e intanto era aprile,
e il glicine era qui, a rifiorire….
…..Prepotente, feroce
rinasci, e di colpo, in una notte, copri
un’intera parete …….
……E basti tu, col tuo profumo, oscuro,
caduco rampicante, a farmi puro
di storia come un verme, come un monaco…….
…..Tu che brutale ritorni,
non ringiovanito, ma addirittura rinato,
furia della natura, dolcissima, …
Con il cuore colmo di poesia e gratitudine, salgo sul treno che mi porta a Roma, certa che nulla potrà più intaccarmi. Ma breve è il tempo della pace. Parole, sintomo di superficialità e di menti e coscienze impantanate nel fango, commentano l’attuale situazione politica e sociale dell’Italia.
Lo sconforto ritorna e in un infinito gorgo di pensieri si snoda la mia riflessione sui contrasti della natura e sulla dissonanza tra certe manifestazioni del creato e quelle dei suoi abitatori.
Rischio quasi di perdermi in questo nuovo turbinio, quando mi appaiono le tue parole, caro Andrea, a sublime sponda e toccante risposta alle mie riflessioni. Una sintesi poetica che vive di versi appassionati ma rapidi, netti, forti dell’immediatezza di immagini e di significati senza appello.
Queste mie sono parole prive di luce rispetto ai tuoi versi, ma sono le sole che ho e te le invio in omaggio all’Uomo, capace di lasciarsi colpire tanto dall’incanto della natura quanto dalla disgregazione sociale e antropologica, e al Poeta che sa porre, dolorosamente e intensamente, l’uno al cospetto dell’altra. Le invio, soprattutto, in omaggio alla generosità del Poeta che consente agli altri esseri umani di trovare nelle sue poesie ciò che essi non sono in grado o non hanno il coraggio di esprimere, per paura di essere giudicati e per la consapevolezza di vivere in un mondo incapace di comprensione e pietà.
Grazie Andrea, per la tua sensibilità, per la tua lucida autenticità ancor prima che per il tuo chiaro talento, affettuosamente, Grazia
Benvenuta a questo incrocio poetico, cara Grazia! profondamente toccato per quanto hai scritto a proposito della mia lirica, mi permetto di sottolineare, a beneficio dei visitatori del blog, la forza costante della tua presenza atta a vivificare la memoria pasoliniana a Roma come altrove; per tacere della tua preziosa collaborazione all’interno del sito dedicato al grande scrittore e regista, pasolinipuntonet. E’ quindi un onore, per me, amici visitatori del blog, ricevere un commento come quello di Grazia Gasparro, “pasoliniana” veramente di ferro, da me conosciuta nell’agosto del 2012 grazie al mio carissimo amico Silvio Parrello in occasione della chiusura della rassegna letteraria Poesia in Libertà in quel di Toffia (Rieti); laddove ebbi a parlare della poesia del grande Giorgio Caproni (amico sincero di Pier Paolo), prima di lasciare lo spazio e la parola alla forza trascinante di Silvio Parrello, capace di penetrare nell’agone poetico in medias res , senza sforzo alcuno, ricordando la sua veemente recitazione del celebre “epigramma” pasoliniano intitolato A un Papa (Pio XII); tratto dalla raccolta La religione del mio tempo (1961). Fu una bella serata, quella dello scorso agosto, in effetti. Ma per tornare ora al tuo scritto, cara Grazia, cosa aggiungere, da parte mia? forse soltanto questo; e cioè che Fondovalle è la prima lirica di una raccolta nuova di poesie (essendo in corso di pubblicazione, per quest’anno, la mia terza silloge poetica). Sicché, in conclusione, da poeta civile quale in effetti sono nell’intimo dell’animo mio, non mi sono minimamente posto il problema di “bruciare” una poesia come Fondovalle: essa andava pubblicata nel presente blog, per quell’umana compagnia stretta in social catena chiamata da Giacomo Leopardi nella Ginestra alla pietas e alla responsabilità. Così ti saluto, cara Grazia, contento per la risonanza che i miei versi hanno avuto nella tua mente e nel tuo cuore. Un abbraccio
Caro Andrea, mi sembra che questa tua poesia, peraltro ricca di immagini e di una bella descrittività priva di stucchevolezza, contenga anche una buona dose di pragmatismo, nel senso che, mentre tu, come noi tutti che nutriamo amore per il Bello e per la Poesia, ti godi le bellezze di una natura ancora incontaminata, gli altri, giù in fondo, ma molto, molto, molto, in basso, scherzano con la Vita e sono come inscatolati dentro ai loro suv prepotenti e riparati dietro ai loro occhiali da sole , vittime consapevoli o inconsapevoli, contente o non, di una sconfortante superficialità. Il bello è che, mentre descrivi quelle bellezze naturali, riesci a staccarti dall’incanto e a volgere lo sguardo verso il basso, nella speranza di qualche cambiamento, consapevole che la vita può comunque offrirci un continuo riparo da dette superficialità e che ci permette, proprio tramite la parola, di lanciare da lontano i nostri messaggi..
Un abbraccio
Grazie, caro Roberto, per questo tuo commento. Come ho già ho avuto modo di scrivere in precedenza, ho sentito quasi il dovere di presentarla, nel blog, tale mia lirica; in quanto, essendo io intimamente e principalmente un poeta civile, non potevo non far giungere ai miei lettori consolidati e potenziali la mia sentita “falla di pietà” per quanto stiamo vivendo oggi al ribasso, ma veramente al ribasso. Un abbraccio
Ogni lavoro formativo umano, inclusa anche la poesia, deve prendere le mosse dai fondamenti naturali. Speriamo di mantenere vivo il contatto sia con l’alto sia con il basso. Complimenti.
Grazie, Simona. Mi fa piacere che tu abbia letto questa mia lirica.
Una poesia che abbraccia la vastità cosmogonica del mondo, le sue cime innevate, le offerte di un lucido malum vitae, le sue screpolature, le ustioni, le sofferenze, le assenze di una tragica ineluttabilità che consola l’occhio, nell’offrirsi ad ampiezze naturali, ma tende come un passero a soffrire la solitudine dei cieli. Nella determinatezza dell’uomo vi è la strozzatura determinata dalla sconfitta, nella straordinarietà della poesia il tempo che scorre ad arginare a livello d’anima le folgoranti accensioni. In questo poeta vi è la bellezza di una natura incalzante che attraversa la dimensione arcana indefinibile del sogno, si fa lenimento e conforto. Una parola che sa attivare le infinite forme dell’entropia, le sue strabilianti veglie, i deserti inquietanti della solitudine.
Ninnj Di Stefano Busà non ha certo bisogno di presentazioni, avendo per mio conto dedicato a questa grande voce della nostra poesia contemporanea diversi articoli del blog, a partire dallo scorso anno. La ringrazio pertanto vivamente per essere intervenuta a commentare questa mia lirica. Alla Busà, curatrice fra l’altro assieme ad Antonio Spagnuolo della poderosa antologia L’EVOLUZIONE DELLE FORME POETICHE (la migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio, 1990-2012-Archivio Storico; Napoli, Kairòs Edizioni, 2013), all’interno della quale ho avuto l’onore di figurare con tre mie poesie inedite, va il mio cordialissimo saluto.