Caproni

Ieri, salendo in macchina per via Pio Foà ( nel quartiere romano di Monteverde, dove ho trascorso l’adolescenza e la prima giovinezza) mi sono accorto della presenza, alla mia destra, di una targa marmorea posta all’ingresso di alcune eleganti e discrete palazzine: si tratta della targa, visibile nella mia foto, posta di recente per ricordare il centenario della nascita (1912) del poeta Giorgio Caproni, che in una di queste stesse palazzine abitò dal 1968 fino al 1990, anno della sua morte. Del grande Livornese, una della voci poetiche più alte e inconfondibili del nostro Novecento letterario, ho avuto occasione di occuparmi soprattutto nel maggio dello scorso anno (vedi archivi del presente blog). Mi è dolce presentare per esteso, qui, la poesia il cui “attacco” risulta inciso nel suddetto marmo (poesia inclusa nella raccolta del 1975 riconosciuta da molti come il vertice dell’ispirazione di Giorgio Caproni, ossia il MURO DELLA TERRA):

DOPO LA NOTIZIA

Il vento…E’ rimasto il vento.
Un vento lasco, raso terra, e il foglio
(quel foglio di giornale) che il vento
muove su e giù sul grigio
dell’asfalto. Il vento
e nient’altro. Nemmeno
il cane di nessuno, che al vespro
sgusciava anche lui in chiesa
in questua d’un padrone. Nemmeno,
su quel tornante alto
sopra il ghiareto, lo scemo
che ogni volta correva
incontro alla corriera, a aspettare
-diceva- se stesso, andato
a comprar senno. Il vento
e il grigio delle saracinesche
abbassate. Il grigio
del vento sull’asfalto. E il vuoto.
Il vuoto di quel foglio nel vento
analfabeta. Un vento
lasco e svogliato –un soffio
senz’anima, morto.
Nient’altro. Nemmeno lo sconforto.
Il vento e nient’altro. Un vento
spopolato. Quel vento,
là dove agostinianamente
più non cade tempo.

poesia di Giorgio Caproni

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