Come negarlo? La sindrome influenzale da me accusata nei giorni passati mi ha fisicamente debilitato. Un buon motivo, comunque, considerando il riposo forzato, per tuffarmi totalmente in me stesso, così come mi piace dire da qualche tempo. E nel silenzio profondo e amico di ieri pomeriggio, eccomi immerso nell’ascolto del quartetto per archi in do diesis minore op.131 di Beethoven (il più amato dal Maestro). Tale quartetto appartiene alla serie dei capolavori cameristici dell’ultimo Beethoven; quando cioè il compositore si inoltra per strade musicalmente inaudite e celestiali, dopo il lungo e peraltro meraviglioso periodo “eroico”. Bene: per quanto mi riguarda, altro che “Supradyn” per riprendere le forze! Poderosa infatti è stata la scossa ricevuta ieri ascoltando l’Allegro finale del suddetto quartetto; per descrivere il quale lascio la parola al grande R.Wagner: “la danza del mondo: selvaggio deliquio, grida d’angoscia, estasi amorosa, il più alto rapimento, miseria, rabbia, ora voluttuoso ora sofferente, una faretra di fulmini, rullo di tuono; soprattutto: un musicista gigantesco”. Del resto, come ricorda Maynard Solomon nel suo Beethoven (Marsilio/Saggi), cinque giorni prima di morire Franz Schubert fu presente (nel novembre del 1828) ad una esecuzione privata del citato quartetto; destando timore negli amici per lo stato di eccitazione ed entusiasmo che ebbe a palesare. Vale la pena di ricordare che Schubert, scomparso un anno dopo Beethoven all’età di trentuno anni, è sepolto accanto al genio di Bonn presso il Zentralfriedhof di Vienna.
P.S. mia la foto qua sopra, una classica effigie di Beethoven stampata sul contenitore dei 100 cd che raccolgono ogni nota del compositore.