“Stupenda e misera città…”: questa la suggestiva allocuzione con la quale Pier Paolo Pasolini a te si rivolge, ne Il pianto della scavatrice, 1956 (poemetto incluso nella più importante silloge poetica del grande scrittore e regista, ossia Le ceneri di Gramsci). Naturalmente sei tu, Roma, mia città natale, la dedicataria cui Pasolini guarda così affettuosamente nel verso sopra citato. Ebbene -forse per quel sangue marchigiano che in me scorre per via paterna- sempre mi sono sentito a te estraneo in chiave antropologica, direi; non negando, ovviamente, la tua suprema bellezza. Stringendo: non ho mai potuto sopportare quel cinismo fin troppo sedimentato, in te, e che potrebbe essere sintetizzato in questi giorni nel famoso adagio: “morto un papa se ne fa un altro!”. Giacché, proprio tale adagio risulta totalmente destabilizzato da ieri l’altro, 11 febbraio 2013; giorno in cui papa Ratzinger ha annunciato la sua volontà di passare la mano. Do quindi ragione, dal mio punto di vista, a Furio Colombo il quale ha accennato, sul Fatto Quotidiano di ieri, a un sostrato “luterano” di Ratzinger a fronte della “mondanità” curiale; emerso, infine, come gesto di rinuncia al papato che, in concreto, pone in discussione la continuità assolutistica del ministero petrino ante mortem, a parte le poche eccezioni storicamente individuabili. Sono, in sostanza, fra coloro che considerano coraggioso il gesto di Ratzinger; un suggello indimenticabile a un pontificato pur costellato di gravi errori. A questo punto invoco anche un po’ di riguardo per noi poeti, che, certo, siamo in troppi rispetto ai nostri lettori ma che comunque, talvolta, annusiamo per così dire l’aria. E’ di sabato scorso, infatti, il mio precedente articolo nel blog in cui, ricordando l’anniversario della proclamazione della Repubblica Romana (9 febbraio 1949), citavo l’ode carducciana non poco corrosiva nei riguardi del torvo “gran prete”, cioè Pio IX…ora, tornando a papa Ratzinger, ecco che costui, tutt’altro che cinicamente, credo, obbliga lunedì scorso 11 febbraio la Chiesa e non soltanto essa a interrogarsi profondamente sul presente e sul futuro incombente. Sicché, la foto qua sopra da me scattata oggi di fronte alla Scala del Righetto, sopra il viale di Trastevere (vedi sempre il mio precedente articolo), vuole essere un po’ l’emblema visivo del cammino in salita che attende (non soltanto) la Chiesa. Per quanto riguarda te, Roma, “stupenda e misera città”, dovresti riflettere -vorrai scusarmi- sulle parole che Amleto rivolge alla madre Gertrude:”Perdonatemi questa predica di virtù, perché nella rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù stessa deve chiedere perdono al vizio, sì, deve inchinarsi e strisciare per avere il permesso di fargli del bene” (Shakespeare, Amleto, 3,4). Vale per te e, a un tempo, per la dantesca e sempre attuale “…serva Italia, di dolore ostello” (Purg., VI, 76), naturalmente, quanto estrapolato dal capolavoro shakespeariano, o Roma: mia città natale fin troppo “adagiata” sul motto suindicato. Sì, verrà eletto un nuovo papa, ma con Ratzinger vivo e in “pensione”; e dico questo con rispetto, senza ironia, considerando la statura intellettuale e morale dell’uomo che, forse, a parte l’età avanzata e i malanni, non si è sentito più di coprire quel vivere d’intrighi di cui parla il “marchigiano” Leopardi nella lettera indirizzata da Roma al fratello Carlo nel 1823 (da me citata in risposta a un commento ricevuto in merito al mio articolo del 9 febbraio scorso).