Tutto è nato da una puntata recentemente riproposta in televisione (non ricordo neppure il canale digitale sul quale è apparsa) della riduzione televisiva della CERTOSA DI PARMA da parte di Mauro Bolognini, risalente ai primi anni Ottanta (con l’attore Andrea Occhipinti nel ruolo di Fabrizio del Dongo, il protagonista del capolavoro di Stendhal). A questo punto ho cercato invano sulla Rete, archivi RAI, le puntate della suddetta riduzione televisiva, peraltro arricchita dalla musica di Mozart…per dirmi, in brevissimo tempo: “che stupido! rileggi il romanzo di Stendhal!”; e così ho cominciato a sfogliare le pagine iniziali dell’edizione Feltrinelli acquistata in libreria, nella bella e raccomandabile traduzione dal francese di Gianni Celati. Ebbene, non rileggendo da decenni la CERTOSA DI PARMA, romanzo chiave della narrativa europea, è proprio il caso di riconoscere di aver riassaporato in questi giorni il piacere supremo della lettura; amando, per quanto mi riguarda, Stendhal in modo profondo (e del resto chi non ravvisa nello scrittore di Grenoble un maestro perenne di giovinezza spirituale, risultando riduttivo parlare, in questo caso, semplicemente, di “freschezza narrativa”?). L’infortunio leggero di cui sono rimasto vittima una settimana fa (frattura di un dito della mano sinistra) ha peraltro reso ancor più favorevoli le condizioni per una vera e propria fuga della mia immaginazione nei luoghi evocati da Stendhal, in compagnia dei protagonisti del suo romanzo. E’ noto, credo, il “miracolo” della stesura del romanzo in oggetto: Stendhal lo portò a termine in appena 52 giorni, a partire dal 4 novembre 1839 (Minerva nata adulta dal cervello di Giove, che altro dire?). Ora, riallacciandomi a un felicissimo articolo sulla CERTOSA DI PARMA dello scrittore Alessandro Piperno (Premio Strega di quest’anno), apparso sul Corriere della Sera del 18.2.2008, vorrei sottolineare, innanzitutto, come la CERTOSA (con la sua misteriosa dettatura da parte di una superiore ispirazione, al romanziere) costituisca un esempio evidente di maturità artistica nella sua assolutezza; quando, cioè, per dirla con l’espressione felice di Piperno, “la forma si piega all’interiorità, e non più l’interiorità alla forma”. Sempre Alessandro Piperno nel citato suo articolo parla incisivamente di “un poveruomo (Stendhal) con la mente ingolfata di patacche romantiche…in preda a un delirio immaginativo…E’ formidabile come nella Certosa sia riuscito a distillare l’essenza prelibata di quelle fantasticherie adolescenziali, pulendole da qualsiasi stucchevolezza. Celebrandole sì, ma senza più crederci, rendendole vive come tutte le cose che abbiamo perso. Come ogni uomo ispirato e vicino alla morte Stendhal si tuffa in se stesso”. I visitatori del presente blog che hanno letto il capolavoro stendhaliano non potranno che riconoscersi in queste parole; giacché davvero LA CERTOSA, al pari di altri grandi romanzi del XIX secolo -penso, in economia di citazioni, alla EDUCAZIONE SENTIMENTALE di Flaubert e alle ILLUSIONI PERDUTE di Balzac, per rimanere in terra di Francia- possiede un potere di suggestione narrativa enorme; fatto di sapienza emotiva, declinata in mille finissime sfumature che sono poi i pensieri e le azioni dei personaggi vivi della narrazione (viene in mente, al riguardo, un regista come Truffaut, forse il più fedele traduttore in immagini del pudore, della pungente delicatezza di sentimenti che cogliamo in Stendhal). Balzac, pur entusiasta della CERTOSA, ebbe da ridire sulla “forma”; senza tuttavia turbare Stendhal, una sorta di Hemingway ante litteram; consapevole, con il suo stile apparentemente sciatto ma scattante ed incisivo, di porsi al servizio dei fatti e delle idee circolanti nel romanzo. Stendhal, amante del nostro paese, andrebbe letto e riletto oggi anche per le acute e attuali osservazioni sul “carattere degli italiani”, sia detto per inciso; e poi, da un punto di vista più strettamente stlistico, andrebbe studiato come maestro di quell’arte di “scorcio” -così come avverte Gianni Celati nell’introduzione alla citata edizione del romanzo- grazie alla quale, a un certo punto, lo scrittore prende congedo, nella CERTOSA (in modo memorabile e anche criticato per concisione) dai suoi personaggi chiave, che chiudono gli occhi a poca distanza di tempo l’uno dall’altro (Clelia Conti, Fabrizio del Dongo, la duchessa Sanseverina, zia di Fabrizio) in quanti legati da Amore (“ch’al cor gentile ratto s’apprende”, come dice Dante; Inferno, V, 100; tenendo ben presente, il Sommo Poeta, il trattato De Amore di Andrea Cappellano). Stendhal, a sua volta autore di un trattato sull’amore (il ben noto DE L’AMOUR, ove viene esposta la teoria della cosiddetta “cristallizzazione amorosa”) era peraltro letto con passione da Paolina Leopardi, sorella di Giacomo, nel tetro palazzo Leopardi a Recanati (come si desume dalla lettera indirizzatale da Firenze dal fratello il 31.8.1832: “Nuove non ho da darti, se non che ho riveduto qui il tuo Stendhal…”; in G.Leopardi, EPISTOLARIO; in TUTTE LE OPERE, a cura di W.Binni, con la collaborazione di E.Ghidetti, Firenze, Sansoni, 1983). E’ dolce per me ricordare qui che, visitando la prima volta Parigi, imperioso fu l’impulso di recarmi al Cimetière de Montmatre, dove riposa Stendhal, maestro della “gioventù del cor”, per dirla con un verso del suo grande contemporaneo Giacomo Leopardi. Il motivo di fondo per cui ho scritto questo articolo, al di là di un sia pure apprezzabile –spero- intento comunicativo con i visitatori del blog? il seguente: un tacito ringraziamento a mia madre scomparsa per avermi trasmesso a suo tempo l’insegnamento di questo supremo nutrimento della lettura, più che mai prezioso in tempi come gli attuali. In fondo, nel centenario della morte di Giovanni Pascoli, io mi riconosco come un “fanciullino” cinquantasettenne che in questi ultimi giorni ha dimorato felicemente all’interno della CERTOSA DI PARMA, di tutto diméntico; giacché la lettura dei classici antichi e moderni (che sono tali in quanto vivi e attuali) è un bene incomparabile che ci fa prendere le debite distanze dalle vuote ciance della nostra epoca (la foto qua sopra, mia, permette di ammirare il bellissimo rilievo della DEPOSIZIONE di Benedetto Antelami all’interno del Duomo di Parma).
N.B. Per porre riparo a una mia colpevole omissione, puntualizzo qui che nella suddetta riduzione televisiva del regista Mauro Bolognini, la parte del conte Mosca, devoto alla duchessa di Sanseverina, fu affidata al grande attore Gian Maria Volonté (della mini-serie di quest’anno sulla CERTOSA andata in onda su Rai Uno, che dire?)