Questa mattina, all’Idroscalo di Ostia, è prevista la commemorazione del trentasettesimo anniversario della tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini, ivi ucciso con ferocia disumana. Sarà presente anche quest’anno come in quello passato Pino Pelosi detto “la Rana”, che sottolinea la propria condizione di spettatore impotente -nella notte fra il primo e il due novembre del 1975- della spaventosa violenza di cui fu vittima il grande scrittore e regista? Pelosi , non a torto, insiste soprattutto dal 2005 sui mandanti tuttora “nascosti” di un omicidio così efferato; avendo lui, Pelosi, fatto i suoi bravi anni di galera in perfetto silenzio affinché non gli fossero uccisi i genitori per ritorsione, nel caso avesse parlato. Bene (si fa per dire). Rimane fortissima la riserva circa l’opportunità della presenza di Pelosi questa mattina all’ Idroscalo (essendo, il suo eventuale percorso di “ricostruzione”, comunque inquinato da una smaliziatissima attitudine alla reticenza, affinata negli anni a scopo auto-protettivo; e, chi scrive, non parla per sentito dire). In ogni caso, trentasette anni ci separano da quella notte all’Idroscalo di Ostia. Nello stato di profonda prostrazione in cui versa il nostro paese attualmente, la cosa peggiore sarebbe (come ho già osservato in passato nel presente blog) il piagnisteo circa la perdita prematura e violenta di uno dei più grandi intellettuali del Novecento (non soltanto italiano). Sicché, alla domanda tutto sommato ingenua “cosa direbbe oggi Pasolini, in merito a quanto sta accadendo nel nostro paese?” occorre semplicemente rispondere che il poeta è vissuto in un’altra epoca, gettando su quella attuale uno sguardo acutissimo e preveggente. Pensiamo, per esempio, tornando ai giorni nostri, alla misera “pagliacciata” del Cavaliere (per dirla con Eugenio Scalfari) che, la settimana scorsa, fa un passo indietro per “amor di patria” (sic!) salvo riaffacciarsi ventiquattr’ore più tardi con aspetto torvo a seguito della sentenza di condanna per frode fiscale da parte del Tribunale di Milano; minacciando, lo “statista”, di far saltare il governo Monti (solo più presentabile del suo, peraltro; ma autoritario e penalizzante di fatto i non abbienti). Ma per tornare più strettamente a Pier Paolo Pasolini, chissà se sapremo mai tutta la verità su quella tragica notte dell’Idroscalo di Ostia? d’altronde non viviamo, in tutta evidenza, in un paese democratico; paese, a ben guardare, di stragi impunite, di uomini-contro (Mattei, Pasolini, Albino Luciani) messi a tacere per sempre, giacché scomodi per i progetti di grandi manovratori che tutto avevano già previsto e poi di fatto hanno stimolato, negli anni, il nostro sottosviluppo antropologico. Ma è venuto il momento di dare la parola a Pasolini, per la precisione ai versi finali di un suo bellissimo poemetto del 1956, IL PIANTO DELLA SCAVATRICE, incluso nella raccolta che assicurò la celebrità al poeta, ossia LE CENERI DI GRAMSCI:
A gridare è, straziata
da mesi e anni di mattutini
sudori –accompagnata
dal muto stuolo dei suoi scalpellini,
la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco
sterro sconvolto, o, nel breve confine
dell’orizzonte novecentesco,
tutto il quartiere…E’ la città,
sprofondata in un chiarore di festa,
-è il mondo. Piange ciò che ha
fine e ricomincia. Ciò che era
aerea erbosa, aperto spiazzo, e si fa
cortile, bianco come cera,
chiuso in un decoro ch’è rancore:
ciò che era quasi una vecchia fiera
di freschi intonachi sghembi al sole
e si fa nuovo isolato, brulicante
in un ordine ch’è spento dolore.
Piange cio che muta, anche
per farsi migliore. La luce
del futuro non cessa un solo istante
di ferirci: è qui, che brucia
in ogni nostro atto quotidiano,
angoscia anche nella fiducia
che ci dà vita…
Come si vede bene, i versi estrapolati dal citato poemetto -che erompe altrove in un reiterato grido d’amore per Roma, “stupenda e misera città”- ci trasmettono luce, la luce della consapevolezza con cui attraversare la “selva oscura” entro la quale oggi siamo intrappolati. Nel PIANTO DELLA SCAVATRICE, in effetti, l’occhio del poeta si muove come una cinepresa; da Trastevere a via Fonteiana (nel quartiere romano di Monteverde), dove la famiglia Pasolini abitò dal 1954 al 1959 al civico 86 (mia la foto qua sopra che ci mostra il palazzo al cui interno una targa ricorda ciò). Un occhio poetico, dicevamo, quello di Pasolini, che di lì a pochi anni avrebbe condotto lo scrittore al suo “cinema di poesia”. Come non sentire, in conclusione, l’attualità di una figura come quella di Pasolini, incompatibile con il nostro attuale stato da basso impero ma di esso lucido, inascoltato profeta?
Grande Andrea!
Le verità?!…Un accordo dissonante su un arrangiamento di spille di sicurezza, fuori chiave e istericamente aggrovigliato da un onesto fugato macabramente danzato da burattinai e marionette soffocate da fiori artificiali.
Un grande abbraccio con la pena per non essere “io” all’Idroscalo presente e a commuovermi mentre volto le spalle e inutilmente mi indigno.
Mirka
Grazie, Mirka, puntuale testimone, nel blog, degli interventi più scomodi che mi detta la penna, in coscienza. Un abbraccio