Mesi addietro avevo scritto nel blog che in occasione del centenario della morte di Giovanni Pascoli sarei tornato a parlare di questo nostro grande poeta. Inesausto sperimentatore di metri e strutture strofiche, Pascoli non può e non deve essere circoscritto nel giudizio critico (e questo è scontato da tempo) entro i limiti delle sue notissime MYRICAE (il pensiero va, soprattutto, ai NUOVI POEMETTI, pubblicati nel 1909). Ma dopo essermi soffermato, a settembre scorso -nel presente blog- sui versi finali di X AGOSTO, inclusi in MYRICAE, sempre ad esse dovrò riferirmi adesso per presentare la lirica pascoliana a me più cara, definita “bellissima” dal Carducci:
NOVEMBRE
Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E’ l’estate,
fredda, dei morti.
Come vediamo la lirica poggia su tre strofe saffiche apparentemente descrittive; laddove occorrerà parlare di una pronuncia poetica volutamente denotativa; e proprio per questo in grado di comprimere, con grande resa evocativa, gli strati semantici più riposti del discorso. Fino al bagliore ossimorico della chiusa: “E’ l’estate, /fredda, dei morti”; preceduto da quel “cader fragile” a sua volta memorabile, per via dell’aggettivo riferito al verbo piuttosto che al sostantivo. Sì, aveva ragione Carducci, questa è una lirica davvero bellissima, dimostrazione evidente del “fascino economico” della poesia, in grado di dire molto con pochi versi (mia la foto qua sopra).