Innanzitutto vorrei complimentarmi qui con Antonella Anedda, recente vincitrice del prestigioso premio letterario VIAREGGIO-REPACI 2012 per la poesia, con la silloge SALVA CON NOME (Mondadori). Ho conosciuto di persona la Anedda diversi anni fa, in occasione di una rassegna letteraria da me curata a Roma in via dei Riari, nei pressi della Galleria Corsini, nel 1991; alla quale partecipò anche la grande e compianta Amelia Rosselli, per fare un nome fra tutti. Di strada nel frattempo Antonella Anedda ne ha fatta parecchia, e la suddetta silloge, così felice nel titolo -rimandante alla nostra esperienza quotidiana di fronte al computer- da me letta, è certo un ottimo esempio di scrittura in versi sorvegliata e asciutta, “cosa fra le cose”; in virtù di un rilevante abbassamento del tono poetico (vedi articolo precedente su Roberto Roversi). Ma di un altro poeta contemporaneo molto apprezzato e conosciuto mi preme parlare, ora: di Valerio Magrelli. Chissà perché, proprio in questi giorni mi sono tornati alla mente alcuni suoi versi, dalla raccolta DISTURBI DEL SISTEMA BINARIO (Einaudi, 2006); e precisamente inclusi nella “Appendice-L’individuo anatra-lepre”. In detti versi, Magrelli parla del “segreto dell’anatra-lepre”, per cui si è “colpevoli rimanendo innocenti”; di “esseri doppi” che “dimezzano il mondo”; di “lesioni nel cuore” causate da un equivoco, dipendente “da chi osserva”; incapace, nei fatti, di cogliere, nella “figura”, le due espressioni che essa ha sempre avuto. Inutile sottolineare, in merito alla citata raccolta, lo stile sobrio, tagliente di Valerio Magrelli, poeta di finissima cultura eppure in grado di controllare severamente i propri mezzi espressivi; dando voce, per contrasto, a quella che chiamerei una umanistica (ma non lamentosa!) pregnanza semantica, all’interno della sua poesia. Vorrei però passare a questo punto la parola alla poetessa Ninnj Di Stefano Busà, cui ho recentemente dedicato una recensione (vedi articolo del 2 settembre scorso nel presente blog); giacché la Busà è, naturalmente, anche prestigiosa voce critica (sua la prefazione alla silloge VER SACRUM di Franco Campegiani; archivi di maggio 2012 del blog). Ma ecco cosa ha scritto Ninnj Di Stefano Busà a proposito di Valerio Magrelli:
Valerio Magrelli, Natività, Ed. L’obliguo, Brescia
di Ninnj Di Stefano Busà
Quella di Magrelli è una poesia particolarissima, risente di una vena contemporanea che rifiuta l’elegia, e riformula il concetto di una poetica quotidiana, eseguita sull’onda dell’andamento domestico, del tempo cronologico, della temporalità. Una ricognizione a 360° del vissuto ordinario, ma della quale, nel suo profondo si evince la riflessione sulla vita, sull’esistente, si tocca l’amaro di un “sistema” che è ininfluente nei confronti del bene comune, della felicità, del benessere. Travolti come siamo da una valanga di problemi di ordine sociale, personale, culturale, politico, congiunturale giornaliero, risentiamo dell’anestesia dell’anima e da qui, origina l’infelicità dell’individuo, le sue assenze o defezioni, le penurie, le contraddizioni di un vivere precario fatto a immagine di un “mordi e fuggi” di una scontata e deprecabile vita esteriore: spersonalizzata, umiliata, resa sterile dall’automatismo epocale, dal depauperamento morale, intellettuale della società, cosiddetta “consumistica”.
Come nella poesia: “Natale, credo scada il bollino blu” e poi a seguire: “E per conoscenza”, “Questo brusio, il ronzare di congegni!, rendono l’idea immediatamente di questo conflitto tra l’uomo e la sua estraneità al mondo, tra l’uomo e la sua immagine amebica, anestesizzata, paranoica, che vive in un limbo di paradossali ingranaggi fatti a immagine di asfissìa, di veleni, avvolto “in un estremo brivido/ molecolare d’onde” /…/ questo brusio, il ronzare di congegni/ per l’aereazione, clic di infinite valvole termostatiche, fase o bifase, questi/ panneggi di microvibrazioni/ che avvolgono la sera in un estremo brivido…/” così descrive l’ambiente circostante Magrelli e vi è tutta la forza d’urto, l’urlo soffocato di non riconoscersi “oggetto” in balìa di un meccanismo, di un automatismo sincopato che depreda l’interiorità, la sensazione di potersi autonominare “soggetto” del mondo, senza lo stritolamento, il deterioramento dell’essere. L’attrito rimane forte tra le incombenze da pagare: canone-TV, Irpef, bollino blu del motorino, questo destreggiarsi in un’epoca che non ammette distrazioni, pause, interruzioni: tra bollette, password, codici utente, Pin, (che il poeta definisce “le nostre dolcissime metastasi” attraversate dall’anagrafe telematica che viviseziona ogni gesto, ogni azione umana.
Ma ecco, nel fondo spuntare la nota amara: il riflesso del pensiero che avverte di essere umani in un ambiente ostile, e traduciamo dal poeta: “questo cavo artificio palpitante che è il nostro mondo”. Così non resta che dargliene atto, non restano che parole nel vento, questo declino automatico della coscienza è il risultato della ns. irrequietezza: “di sentire che qualcosa è andato perso/ e insieme che il dolore mi è rimasto/ mentre mi prende acuta nostalgia/ per una forma di vita estinta: la mia.” Una formidabile verità, una definizione di vita assente, di menomazione, di amputazione che avvertiamo tutti, ma soprattutto il poeta, le cui parole avvertono senza ombra di dubbio la vita parallela che ci ostruisce la virtù dell’intelletto, dell’anima e del sogno.
P.S. La foto qua sopra, mia, è stata scattata nel 2009 all’interno della CAPILLA DEL HOMBRE, a Quito (Ecuador); grazie a essa possiamo ammirare una delle tante, splendide opere di Oswaldo Guayasamin (artista tra i più grandi del Novecento) custodite in tale prezioso museo.
Non sono “secca” ma bagnata di lacrime per cotanto convivio di diverse bellezze che inneggiano alla Vita! Vita che non è solo esserci col viverla, in pienezza, ma riconoscerne il valore sotto le svariate forme e darle Ali di coscienza.
Si, spesso i chicchi di grano, restono mammelle senza latte, di cui se se ne intuiva il nutrimento per prezioso contributo d’interezza, pur tuttavia fu lasciata germinare solo agli occhi, in “colpa d’innocenza”.
Vana e sterile poi, risulterebbe ogni lamentela (Deposita est vehementer, nec invenit requiem).
Bravi tutti ,allora. Mirka
Grazie di cuore, cara amica. Un abbraccio