Venerdì scorso 18 maggio in Marino (Roma), presso il Museo Civico U. Mastroianni, a cura dell’Associazione dei Nuovi Castelli Romani, si è svolta la presentazione della silloge poetica di Franco Campegiani, dal titolo VER SACRUM (Tracce Edizioni); con la bella introduzione di Ninnj Di Stefano Busà (nota poetessa e critico letterario cui si deve la prefazione del libro). Viva emozione si è percepita in sala ascoltando la lettura delle poesie di Campegiani, ben noto ai visitatori del presente blog per la sua assidua e preziosa partecipazione. Non mi sono sorpreso a dire il vero più di tanto, venerdì scorso, nel riscontrare un riconoscimento pressoché unanime -da parte dei relatori- del particolare valore di una lirica inclusa nel libro di Franco: IL MALE D’OGGI. Tale lirica, per il suo alto significato, non a caso è stata da me proposta sul blog, con il consenso dell’autore, nell’agosto scorso; e giusto mi sembra, per onorare questo mio degnissimo e carissimo amico, riproporla oggi (per la sua generosa e toccante umanità; laddove, stilisticamente, siamo al cospetto di versi limpidi, avvolgenti, pieni di respiro):
IL MALE D’OGGI
Il male d’oggi è chiuso in un recinto
di plastificate muraglie,
ghetto refrattario in una cupola
agli spiragli di luce.
E solo tenebre incontri
senza più coscienza delle tenebre,
case nere lungo i viali asfaltati
senza più finestre,
un dolore inconsapevole,
una notte senza sbocchi
che rifiuta l’impasto con le aurore,
un nulla radicale in estinzione,
un nero che più non genera nero,
un incubo, un’oscura follia
superba e paga di se stessa
che rifiuta il bacio dell’alba
e si occulta all’amplesso lievitante,
al groviglio fremente della vita,
e muore…
Quanti gridi di dolore nelle notti
si schiudevano all’alba in battiti d’ali!
Mai mi dicesti
che c’è un male che fa bene,
ma lo capivo dai tuoi gesti,
padre contadino,
dall’urlo muto
delle viti che potavi,
dal sudore vivo della fronte,
dalle doglie della terra partoriente
che con amore coccolavi,
affinché tutto risorgesse
nuovo e bello dalle brume invernali.
Quanti gridi di dolore nelle notti
esplodevano all’alba in battiti d’ali.
Caro Andrea,
ti ringrazio per l’attenzione e il senso profondo di stima e di amicizia con i quali ci rendi partecipi dell’esordio della silloge del nostro Franco, destinata, senz’ombra di
dubbio, a conquistare critica e pubblico.
Il caro amico, di estrazione poetica e filosofica sa magicamente coniugare nei suoi versi le passioni che agitano la sua vita. E la lirica in questione, che amo in modo particolare, rappresenta l’analisi dura, spietata della società attuale, ma non esita a passare nella seconda parte della stessa sul registro della memoria, adottando metafore che scuotono le fronde dell’anima: “dall’urlo muto delle viti che potavi “;
quanti gridi di dolore nelle notti / esplodevano all’alba in battiti d’ali!” Ho già letto questa lirica che reputo tra le più ispirate di Franco. Di fronte al male che imperversa i ricordi tornano a posarsi sul fascio caldo delle radici ed erompe il grido di colui che , in nome dell’armonia cosmica, non sa arrendersi, al trionfo del male sul bene!
Commovente e trascinante il fiume di versi del nostro amico poeta e filosofo. Pregevolissimo il tuo desiderio di continuare a rendergli omaggio. La silloge di Franco sarà una novità nel campo editoriale e tu, amico puro, gli cammini accanto, felice del suo successo. Io gioisco con lui e con te e vi abbraccio entrambi!
Direi soltanto questo, cara amica, per integrare quanto hai scritto. La poesia di Franco nasce dalla vita; non altrimenti potremmo spiegarci il fuoco della sua ispirazione. Riproporre IL MALE D’OGGI, quindi, ha obbedito a un intento tutt’altro che celebrativo, da parte mia. E’ l‘eticità di questa lirica a colpirmi, a farmela amare senza riserve. Un abbraccio
Mi congratulo profondamente e sinceramente con entrambi.
A te lascio anche un abbraccio affettuoso. Mirka
Ti ringrazio e ricambio il tuo abbraccio. Adesso che scrivo queste poche righe in una serata veramente difficile per me, mi accorgo che la poesia di Franco Campegiani irradia la sua forza già a partire dal titolo, per tacere del suo potente efflusso.
Caro Andrea, leggo solo ora questa lirica di Franco e sono straordinariamente colpita e commossa. E’ meravigliosa. MERAVIGLIOSA. Mi fa pensare a “The Waste Land”, ma con un senso di responsabilità di fronte a se stessi e al mondo che non ho trovato in Eliot. Il senso della terra che insegna il Dolore, e la Responsabilità di fronte ad esso. La terra che genera e che è Madre. Che segue il ciclo delle stagioni e che insegna il Tempo. Il Tempo dell’Attesa, che è il Tempo della Responsabilità di saper Attendere.
E l’opposizione che io sento, nella lirica di Franco, rispetto al Male della Strada, della solitudine che non è Soli con sé stessi mai, ma sempre soli senza sé stessi. Il dolore di essere soli senza se stessi.
E ancora la terra, che insegna la disponibilità, la terra aperta ai semi da ospitare, alla Vita.
E il vuoto della solitudine, il buco vuoto, le tenebre “senza più coscienza delle tenebre”, “senza più finestre”. Il dolore cercato e lamentato.
E un padre che mostra la Terra. Una Terra che desidera e che vive.
Mi affascina. “Mai mi dicesti che c’è un male che fa bene”. Mi spiazza. La terra che non si muove, che è sempre lì, che sopporta non per dimostrare, ma perché sopravvive.
Mi piace tantissimo questa contrapposizione, che percepisco in questa lirica di Franco, tra il MALE D’OGGI, quest’ “oscura follia superba e paga di se stessa che rifiuta il “bacio dell’alba”, così infantile direi, che cerca il Tutto del dolore che sempre si rinnova- e la TERRA, matura, che conosce il Tempo, il Tempo Responsabile dell’Attesa, della semina, della maturazione e della raccolta. La terra che insegna la Responsabilità della vita da adulto. Da grande.
Una caro abbraccio Andrea e grazie.
Michela
Cara Michela, innanzitutto bentornata fra le pagine di questo blog, con la tua bellissima riflessione che merita, credo, una risposta da parte di Franco: poeta, filosofo e… gentiluomo nel senso più vero del termine. Ti rivelerò un particolare, per comprendere meglio (ritengo) il sostrato umano e culturale cui è ancorata la poesia in oggetto. Lo scorso ottobre a Marino, nel frastuono di un pomeriggio festivo, in pieno centro, con il traffico che puoi immaginare, sai cosa è accaduto? a un certo punto la serenità del silenzio si è impadronita del mio animo, seguendo con attenzione una riflessione filosofica di Franco. Cosa voglio dire in una parola sola che forse ho già detto, a proposito della presenza di Franco? che essa con-forta, più che consolare…e credo davvero che il MALE D’OGGI sia un testo esemplare, in tale ottica. Un abbraccio e un ringraziamento. Andrea
C’e una contrapposizione, nella poesia di Franco, che resta imprigionata nei versi, spinti verso l’alto da un motore interiore tenuto acceso da un’ anima fortemente ricettiva. Tale contrapposizione inizia quando dice: ‘mai mi dicesti che c’è un male che fa bene’… frase simbolo di una saggezza che si trova alla base della Vita.
Esiste nell’anima un magazzino di preziosi ricordi dal quale l’autore attinge e riporta alla luce mettendo al cospetto della realtà odierna quell’antica e preziosa saggezza. I versi partono incidendo un solco profondo nella modernità, poi si tuffano nel passato con un sentimento che dispiega le ali su un’anima che sa mantenere fruibile il vissuto, fatto di sguardi silenziosi ‘..ma lo capivo dai tuoi gesti, padre contadino..’ e di insegnamenti recepiti con grande passione;.. affinchè tutto risorgesse – nuovo e bello- dalle brume invernali-. Quello di Franco ci appare a questo punto un Credo che affonda le radici in ciò che di più intimo ci appartiene come popolo. Un abbraccio, carissimo Andrea
Caro Andrea, accolgo con commozione e calore il tuo invito a rispondere a Michela. Ieri sera ero stanchissimo e non ce l’ho fatta a prendere la penna in mano (o meglio la tastiera tra le dita). Stamattina, a mente fresca, rispondo volentieri a questa cara ragazza, la cui sensibilità e profondità ho più volte notato con sorpresa. Giustamente lei parla di responsabilità di fronte al dolore. La Terra è questo che insegna alle creature che sulla sua pelle respirano, e vivono e muoiono, rinnovando all’infinito il mistero ed il grido della vita. Purtroppo i modelli culturali oggi imperanti mirano ad affrancarsi dalla natura con le astruserie di una globalizzazione che non ha proprio nulla a che fare con il “globo”, il quale pretende “radici”. Nei secoli passati, a torto considerati “bui” dalla becera “intellighenzia” attuale, l’uomo (che non era certo uno stinco di santo, come non lo è mai stato), non era mai riuscito ad immaginare di poter tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla Madre che lo partorisce con amore. Sta qui la sua irresponsabilità di fronte a se stesso e di fornte alle forze elementari del creato da cui lui stesso viene. Non si può estirpare il dolore, senza estirpare la gioia che ad esso è legata in parto gemellare. Fuggire di fronte al dolore finisce per farci incappare in un dolore più grande, dalla cui morsa poi risulta molto più difficile e complesso poetrci liberare. Se non si prende il toro per le corna, si rischia di restarne infilzati. Ed è questo purtroppo il futuro che ci siamo meritati. Anzi, il non-futuro che ci siamo meritati, visto che – come ben evidenzia Michela – siamo riusciti davvero ad “ammazzare il tempo”, ovvero i cicli, i sani ed equilibrati flussi stagionali. Tuttavia possiamo ancora farcela, e ce la faremo, caro Andrea, perché riusciremo ad ampliare la nostra coscienza, tornando a comprendere che “c’è un male che fa bene”. Come ben sapevano gli avi, i nostri padri e le nostre madri contadine. Ti ringrazio, Andrea, come ringrazio Michela e tutti gli altri che stanno dibattendo, nel blog, su queste tematiche altamente evolutive. Ovviamente sperando di essermi tenuto distante, nella poesia, da ogni tentazione retorico-dottrinaria.
Nessuna retorica nei tuoi versi, caro Franco: anzi, prendendo a prestito una sanguigna ed efficace immagine racchiusa nella tua argomentata risposta a Michela, direi così: essi -i tuoi versi- prendono il toro per le corna, con la forza della poesia verace; come ben dimostra il bellissimo commento di Michela. Un abbraccio
Ed anche con te concordo appieno, carissimo Roberto; anzi, a ben pensarci, ti ringrazio maggiormente, in quanto non era ancora stato sottolineato a dovere, a proposito della poesia di Franco, questo suo valore di saggezza popolare, nel senso più nobile del termine. Un abbraccio
Caro Andrea, quanta verità c’è nei bellissimi versi di Franco! “solo tenebre incontri senza più coscienza delle tenebre”….e vengono in mente persone – tante purtroppo – alienate, anestetizzate…che consumano di tutto, senza sentire più niente…e quello che è più grave, siamo veramente immersi in “una notte senza sbocchi, che rifiuta l’impasto con l’aurora”…grande la saggezza di Franco, finissima la sua sensibilità, quando dice che “non si può estirpare il dolore, senza estirpare la gioia che ad esso è legata in parto gemellare”…e invece, sembra che questo nostro confuso presente spinga solo allo stordimento e allo sradicamento totale dai veri valori, dalle nostre radici comuni…
grazie per questo momento di profonda commozione
un abbraccio
Grazie, cara Loredana, per questo tuo intervento di grande e sincera partecipazione. Un abbraccio
Caro Andrea, “Il male d’oggi” è prima di tutto un dono che il grande Franco Campeggiani fa ai nostri cuori, un meraviglioso affresco con cui ci svela che l’antica saggezza può ancora trasformarsi in speranza, in futuro. Un’analisi lucida e impietosa ma allo stesso tempo dolce, consolatrice. Un opera che pretende risposte, scritta veramente con lo sguardo rivolto all’umanità.
Un grazie a te, carissimo, per averla ripubblicata ed un grazie di cuore all’autore per questo suo generoso slancio poetico. Paolo
La bellezza e quantità di commenti pervenuti a proposito della poesia di Franco Campegiani, attestano la sua forza dirompente…a cento grandi, come acqua che bolle. Mi fa piacere questo tuo intervento, caro Paolo, come farà piacere a Franco; che ha scritto questi versi con autentica passione civile, per toccare il cuore dell’intelligenza e l’intelligenza del cuore. Un forte abbraccio.