La foto di questo stupendo dipinto di Pieter Bruegel è stata in effetti da me già proposta sul presente blog (19.6.2010); tuttavia mi è parso giusto mostrarla nuovamente oggi per introdurre una poesia di Simone Consorti. Simone, nato nel 1973 a Roma, dove insegna in un Istituto Superiore, ha esordito con il romanzo “L’uomo che scrive sull’acqua (Baldini e Castoldi Dalai, 1999, Premio Linus). Successivamente ha pubblicato i romanzi “Sterile come il tuo amore” (Besa, 2008) e “In fuga dalla scuola e verso il mondo” (Hacca, 2009). Le sue poesie sono raccolte nella silloge “Perché ho smesso di scriverti versi” (Aletti, 2010). Ma veniamo alla poesia inedita:
SE STESSI ALLO SPECCHIO
I ciechi conoscono i cieli
e spesso hanno un loro concetto
degli arcobaleni
Più di tutto sono esperti di spazi immensi
e di giorno vanno di notte nei deserti
Ci vuole immaginazione
per credere nelle rose
Ci vuole un bel po’ di esperienza
per setacciare la realtà dall’ apparenza
A volte un cieco giovane
ritorna un cieco vecchio
Ma ho visto ciechi che hanno visto ciechi
che hanno visto ciechi
che hanno visto se stessi allo specchio
(poesia inedita di Simone Consorti)
Senza mezzi termini il mio apprezzamento per tale lirica, di grande asciuttezza. Bàttono, i versi di essa, con ammirevole fermezza denotativa sul piano dell’emissione di senso, senza proccupazione di piacere ad ogni costo. Dunque belli e moderni per questo. E versi estroflessi, li definerei, soprattutto; ossia oggettivati, distanti dalle scorie autobiografiche dell’autore. Ma questi positivi rilievi non debbono peraltro far pensare ad una lirica troppo disadorna: la “chiusa” assonanzata della prima strofe “Più di tutto sono esperti di spazi immensi/ e di giorno vanno di notte nei deserti”, crea agli occhi del lettore infatti una raffinatissima “quasi-rima”; rima che invece si materializza con moderna sprezzatura alla fine della seconda strofe…anche del tessuto fonematico di questa poesia di Simone occorrerebbe parlare, ma non voglio togliere a chi la leggerà il piacere di scoprire un coerente contesto di suoni con il quale Simone Consorti ha orchestrato il suo discorso poetico. E dunque grazie, Simone, per questa bella e intelligente metafora che ci invita a guardare dentro di noi (“andando di giorno nella notte dei deserti…”)!
Di quali cieli può parlare un cieco, se non di quelli interiori di cui parla Paracelso? Hai ragione a dire, caro Andrea, che Simone Consorti parla di un’interiorità priva di “scorie autobiografiche”, priva ossia di tratti soggettivi, legati al “particolare”. Non c’è nulla di più universale dell’interiorità, ma credo sia giusto aggiungere che ciò che è universale – in quanto interiore – non abbia nulla a che fare neppure con l’oggettività. Il cieco di cui parla Consorti (cieco che in fondo è una metafora di se stesso) ha bene imparato a distinguere (a “setacciare”) la realtà dei cieli interiori dall’apparenza oggettiva e sensibile. I ciechi, ci vuole dire Consorti, non hanno occhi per il mondo, perché la loro vista è esercitata nei confronti di se stessi; e proprio per questo – paradossalmente – hanno una visione non intimistica, e neppure oggettivistica, ma universale della vita e del mondo. Tuttavia, è vero ciò che tu dici, Andrea: egli parla di introflessione, ma ne parla in maniera estroflessa. Vale a dire che si limita ad indicare (oggettivamente, in questo caso) il percorso di coloro che si avventurano nei cieli dell’anima. Peccato che non ci dica di più e che il suo pudore, peraltro apprezzabile, non voglia svelare, almeno in parte, le luci e i segreti che in quei cieli si colgono. Ti sono grato, Andrea, per le occasioni e gli arricchimenti che sempre proponi ed offri.
Grazie a te, caro Franco, per questo tuo lucido intervento in merito alla poesia di Simone Consorti da me presentata. Come hai ben compreso e del resto scritto, il processo di oggettivazione cui ho accennato vale -dal mio punto di vista- nel senso oramai classico sancito dall’uso che di esso hanno fatto poeti come ad esempio Eliot e Montale. Alludo. al dunque, all’uso del “correlativo oggettivo”; in base al quale stati d’animo dell’io poetico vengono “affidati” alle cose, allusivamente; scavando quel divario ontologico in virtù del quale un’emozione si fa letteratura, forma intellegibile, ben al di là di rudimentali e pre-poetici sfoghi. Sono lieto che questa bella poesia di Simone abbia suscitato il tuo interesse e stimolato me a specificare meglio -credo- quanto ho affermato ieri . Un abbraccio
Caro Andrea, approfitto della tua ospitalità per ringraziare l’autore di questa bella lirica, un’opera le cui emozioni mi hanno costretto ad un profondo ed obbiettivo sguardo entro di me. Viaggiando con lui nella straordinario universo di chi pur non vedendo supera ogni limite mi è apparsa beffarda la mia cecità, quella che mi domina ogni volta che per paura o per pigrizia fingo di guardare il mondo ma in realtà tengo gli occhi ben chiusi e “mi accontento”. Sono cieco si, ma per mia scelta. Cieco fino a che una circostanza della vita non mi trascina davanti a uno specchio e mi mostra quello che sono, quello che non ho il coraggio di affrontare. O fino a che qualcuno, magari con una poesia, riesce a far luce nei miei pensieri. Un caro saluto Paolo
Caro Paolo, con gratitudine accolgo questo tuo profondo e toccante commento alla poesia di Simone Consorti. Le tue parole, disarmanti e vere, non possono non far riflettere. Ringraziamo pertanto l’autore di versi così stimolanti e problematici. Un abbraccio
Caro Andrea,
particolarmente toccante per me e per la mia esperienza di vita questa lirica, che apre infiniti spazi sull’immaginario e consente a ognuno di noi di cogliere il terzo occhio di coloro che sono privati della vista… il più completo dei cinque sensi.
Conosco bene la capacità dell’uomo di superarsi di fronte ai muri posti dall’esistenza, ma Consorti viaggia su un registro talmente poderoso da disarmare anche i miei ricordi e … in un certo senso da redimerli.
Lo spazio non ha più limiti per i ciechi e l’immaginazione prende il sopravvento sul
buio. “Più di tutto hanno un loro concetto degli arcobaleni”… un’immagine che lacera i luoghi comuni, che reiventa la poesia dei colori, che dà la misura di quanto possa essere nostra, come asserisce Paolo Buzzacconi, l’incapacità di vedere il mondo , di coglierne i reali aspetti.
Non so trovare parole atte a commentare i cinque versi dell’ultima strofa. So che il cuore nel leggerli è divenuto anarchico. I ciechi divengono un esercito di persone capaci di leggersi, di riconoscersi, di ‘vedersi’ allo specchio.
Ho pensato sorridendo a mio Padre. Al suo arcobaleno alto nel cielo dei desideri e alla sua immagine eternamente giovane allo specchio. E mi sono commossa.
Ringrazio te, caro amico per tanto dono e il giovane Consorti per una simile illuminazione… Avrei voluto conoscerlo prima. Avrei voluto leggerlo qualche anno fa, non da sola.
Ti abbraccio forte Andrea!
Cara Maria, pubblico questo tuo commento lucido e toccante con grandissimo piacere. La poesia di Simone è ispirata ed efficace, e parole come le tue testimoniano tutto ciò. Un abbraccio