Esattamente quarant’anni fa moriva a Milano lo scrittore e giornalista Dino Buzzati, autore del DESERTO DEI TARTARI (1940), fortunato romanzo dal quale Valerio Zurlini ha tratto l’omonimo e bellissimo film del 1976 (con Vittorio Gassman, Giuliano Gemma ed altri attori famosi). La vicenda narrata nel romanzo è nota. Giovanni Drogo, il protagonista, attenderà tutta la vita invano -scrutando l’orizzonte- la venuta del nemico, sopraggiunto troppo tardi; quando lui, Drogo, stanco e malato, viene allontanato dalla Fortezza Bastiani. Subito la critica parlò di uno scrittore “nordico”, di una sorta di Kafka italiano, in relazione alla vicenda angosciosa raccontata da Buzzati; vicenda centrata sul tema dell’attesa, che consuma in sostanza un anti-eroe (il romanzo uscì, non dimentichiamolo, nel 1940!) fino alla morte. Ovvio che a Buzzati tale richiamo potesse dare fastidio; ora, di fronte alla gigantesca statura dello scrittore di Praga, è lecito considerare Dino Buzzati soltanto un nipotino italiano di Kafka? Com’è stato osservato acutamente, trattasi essenzialmente di una questione di luce; anzi, di ossigeno. Mentre nelle storie kafkiane si soffoca senza speranza, in una dimensione grottesca, secondo i toni di un burocratico e spietato realismo, in quelle di Buzzati, di contro, una poetica aura della durata di un attimo la si percepisce; l’angoscia esistenziale, in breve, risulta nello scrittore italiano a maglie meno fitte; vibrante di un consolatorio lirismo, per il lettore. E’ doveroso, qui, per me che in gioventù ho amato particolarmente Buzzati, precisare, d’accordo con la critica più autorevole, che all’autore del DESERTO DEI TARTARI è sostanzialmente mancato (capolavoro incluso) il respiro robusto del romanziere autentico. Non a caso, infatti, per me come per molti, il Buzzati migliore rimane quello dei racconti brevi; laddove il minaccioso enigma dell’esistenza viene mirabilmente filtrato dalla grazia di una prosa tagliente e dai toni fiabeschi. Peraltro parecchi di questi racconti erano nati come elzeviri per la “terza pagina” del CORRIERE DELLA SERA (giornale per il quale Buzzati cominciò a scrivere giovanissimo in qualità di umile cronista); per essere poi raccolti, detti elzeviri, in fortunati volumi: fra i quali spiccano i SESSANTA RACCONTI (Premio Strega nel 1958). Converrà citare, da essi, quale narrazione esemplare, il famoso SETTE PIANI (che dette poi luogo al testo teatrale UN CASO CLINICO); ebbene, Giuseppe Corte, il protagonista del racconto, “precipita” dal settimo piano riservato ai malati lievi -per varie ma inesorabili ragioni- al primo, quello dei moribondi. Giusto ricordare anche l’opera pittorica di Dino Buzzati, con gli indimenticabili cani di enormi dimensioni e lo sguardo desolato all’interno di piazze misteriose; per tacere del famoso quadro raffigurante il Duomo di Milano in forma di dolomitica croda. Sì, le Dolomiti: profondamente amate da Buzzati; appassionato scalatore soprattutto delle Pale di San Martino… Suggerisco, in conclusione, a chi potesse disporre del Meridiano dedicato a questo scrittore, di leggere o rileggere lo straziante ultimo elzeviro di Buzzati, ALBERI, pubblicato sul CORRIERE l’otto dicembre del 1971; il giorno stesso del suo definitivo ricovero in clinica. Gli alberi sono quelli che possiamo vedere, come spiritati, da un treno in corsa…Salute a te, Dino, compagno della mia adolescenza grazie alla tua dolente fantasia! per onorarti, considerando la comune passione per la montagna, ti dedico questa mia foto della dolomitica Croda Rossa.
Carissimo Andrea, credo che nello scrivere ci sia oltre che l’assecondare lo spirito che anima pensieri e parole, la speranza che qualcuno legga e ammiri. E’ sempre quello che provo quando io passo di qui. Bella la disamina che hai fatto di Buzzati. Una conversazione pacata che lui avrebbe apprezzato fumando la sua pipa; annuendo con la testa con un sorriso lieve e forse anche da Gioconda. Bravo! Mirka.
Cosa dirti, cara amica? io scrivo, sforzandomi di tener viva la memoria dei nostri grandi scrittori; cercando di non sottrarmi mai all’esercizio del pensiero critico. Nel caso di Buzzati tale mio intento mi pare piuttosto evidente, credo di poter affermare: nel senso che ieri, il Corriere della Sera, in pompa magna, lo ha definito uno dei più grandi scrittori del nostro Novecento. Esagerato ciò, a mio modo di vedere; pur avendo amato e amando tuttora i libri di Buzzati. Ben altro, non soltanto a mio avviso, naturalmente, il peso di narratori come Gadda e Calvino, solo per fare due nomi del secolo alle nostre spalle. Un abbraccio.
Mio caro Andrea,
di altissimo spessore questo tuo articolo in ricordo di Dino Buzzati , che anch’io
ho letto e ammirato sia nel “Deserto dei Tartari” che in alcune novelle. Il respiro nordico, a mio avviso è innegabile. Ma non echeggiava certo Kafka. Il suo stile era disteso, privo di toni intensi e graffianti… lirico, come hai ben scritto tu. La novella che citi “Sette piani” era un diamante incastonato tra le perle. Un affresco surreale e di efficacia struggente. Non conosco, purtroppo, la sua produzione pittorica e ti ringrazio per la disamina che la rende quasi visibile.
Un ricordo il tuo che rende onore alla letteratura spesso trascurata o mal interpretata dai critici. Esiste, purtroppo, la tendenza a creare delle ‘nicchie’ per alcuni autori, a dar loro connotazioni riduttive che li sviliscono o li rendeno ‘minori’ rispetto ad altri.
Un artista della levatura di Buzzati merita spazio e luce. La sua luce. Non quella riflessa. Il tuo ricordo vale anche come sprone per tornare a leggerlo.
Ti ringrazio, amico mio e ti abbraccio.
Grazie per le tue parole, cara amica. Ho seguito con attenzione sulla Rete, lunedì scorso, la commemorazione di Buzzati organizzata dal Corriere della Sera; al punto di ritrovarmi a rileggere, subito dopo, a distanza di tanti anni, alcuni dei racconti buzzatiani che più mi colpirono, in gioventù…ebbene, che secchezza e precisione di prosa, da parte di questo scrittore-giornalista che dava del tu al mistero! un abbraccio.