Sempre per circostanze non ordinarie, non ho potuto scrivere per tempo le mie riflessioni su Giuseppe Ungaretti espresse a braccio il 19 dicembre scorso in Frascati, Sala degli Specchi del locale Municipio, in occasione delle RICORDANZE UNGARETTIANE; introdotte al meglio dal poeta e filosofo Franco Campegiani (curatore di una più vasta rassegna culturale in detto luogo); integrate peraltro dalla relazione del poeta e critico letterario Sandro Angelucci. Bene. Con poco tempo a disposizione, lo scorso 19 dicembre, a proposito della poesia di Ungaretti, ho preso le mosse da una suggestiva metafora dello scomparso Carlo Bo (vero e proprio colosso della nostra critica letteraria del Novecento); metafora in base alla quale l’albero nudo e solitario dell’ ALLEGRIA è da immaginare, nel tempo posteriore, trasformato in una vasta e ossigenata selva poetica con pochi paragoni nel Novecento europeo; giacché il “versicolo” del primo Ungaretti si amplifica, di fatto, nel musicale e solenne discorso poetico del SENTIMENTO DEL TEMPO (1933), silloge in cui confluiscono non poche liriche ispirate al poeta dal paesaggio dei Castelli Romani (Ungaretti visse infatti a Marino, in provincia di Roma, a cavallo fra gli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta, nel secolo scorso). La suddetta metafora è stata comunque da me più stringentemente motivata avvalendomi delle poche, fondamentali pagine (1945) su Ungaretti di un altro grande critico del nostro Novecento, Giuseppe De Robertis (vedi pagg.405-21 dei Meridiani, GIUSEPPE UNGARETTI, VITA DI UN UOMO, Tutte le poesie, a cura di Leone Piccioni, Arnoldo Mondadori Editore); il quale De Robertis -stavo dicendo- ci indica nelle citate pagine con precisione la poesia in cui il verso italiano -turgido di dannunzianesimo e nel contempo bigio nel suo crepuscolarismo- già riportato al grado zero da Ungaretti nelle precedenti e folgoranti liriche dell’ ALLEGRIA, si fa ora ritmo superbo, resurrezione metrica in potenza e in atto; ebbene, tale poesia (pag.97 del citato volume), è quella che chiude la prima, indimenticabile raccolta ungarettiana:
PREGHIERA
Quando mi desterò
dal barbaglio della promiscuità
in una limpida e attonita sfera
Quando il mio peso mi sarà leggero
Il naufragio concedimi Signore
di quel giovane giorno al primo grido
Mi pemetterò qui di ricostruire l’analisi metrico-stilistica da me compiuta come dicevo sopra a braccio il 19 dicembre scorso. Primo verso di PREGHIERA: settenario tronco, a configurare un ritmo che non può distendersi in un rassicurante incipit dall’uscita piana; considerando cosa sta augurandosi tramite il verso in oggetto quell’uomo di pena che è stato Ungaretti (così come il poeta stesso si è esplicitamente riconosciuto). Secondo verso di PREGHIERA: endecasillabo, anch’esso tronco (e non potrebbe essere diversamente, in base alla sua emissione di senso); peraltro, un endecasillabo non canonico, ossia atono nella quarta e/o sesta sillaba, a riprova di come il poeta -volendosi affrancare da una vera e propria selva oscura– non debba preoccuparsi (modernamente) di una pre-disposizione ortodossa degli accenti del verso (e, in effetti, De Robertis e Bo non fanno che ricordarci il possente lavoro ungarettiano a vantaggio di generazioni di poeti). Terzo verso di PREGHIERA: finalmente un endecasillabo con accenti sulla quarta e settima sillaba; dunque, nell’ambito della più dorata tradizione italiana; se non fosse per quella parola ancora ostinatamente sdrucciola sulla quale va a posarsi l’accento di quarta (“limpida”): ma il poeta comincia eccome…a riveder le stelle! Quarto verso di PREGHIERA, graficamente distanziato, nel testo, a formare una stupenda anafora con l’attacco della lirica; quarto verso, stavo dicendo, formato da un endecasillabo finalmente canonico e mirabilmente fluido; vibrante di un disteso canto con accenti sulla quarta e ottava sillaba (do per scontato, ovviamente, l’inevitabile accento sulla decima sillaba, ché altrimenti non parleremmo di endecasillabi). Ecco, con tale verso, il quarto, sta avvenendo davanti agli occhi del lettore una metamorfosi di luce. Meraviglioso davvero, questo farsi della poesia, secondo il grande insegnamento dantesco, in Ungaretti! Quinto verso di PREGHIERA: ancora un endecasillabo, e canonico, con un significativo accento sulla sesta sillaba di una parola sdrucciola, “concedimi”, su cui va ad agglutinarsi tutto il senso della non scontata invocazione ungarettiana. Sesto e ultimo verso di PREGHIERA: un limpidissimo e canonico endecasillabo puro come un diamante (per dirla col De Robertis); laddove la rinascita del poeta è dolorosamente avvenuta, strappata al buio; come attesta l’allitterazione basata sulla consonante g lungo il crinale del verso: verso in effetti binario nel ritmo, prima ascendente e poi discendente (a comprovare il suo puro conio diciamo così pneumatologico; con questo volendo alludere ad un respiro poetico che si offre già come senso sul piano fonematico del discorso poetico, in maniera non dissimile dal verso di chiusa dell’ INFINITO leopardiano).
Rinnoviamo pertanto il nostro più profondo, commosso ringraziamento a Giuseppe Ungaretti per questa sua stupenda PREGHIERA: una poesia quanto mai ad hoc per l’anno nuovo imminente (nella foto, un famoso dipinto del Guercino).
Carissimo Andrea,
non capita spesso di leggere una recensione così.
L’ho riletta più e più volte e, più e più volte mi sono portata via qualcosa. Un’emozione, un insegnamento.
Precisa nel puntualizzare tutti i passaggi tecnici e stilistici, analizzati con competenza (vera e profonda), ma con la serietà “umile” che si deve quando ci si accinge a ripercorrere delle orme di luce.
Monumentale per valore aggiunto, che la rende degna d’essere affiancata a questa “testamentale” poesia di un “veramente” grande.
Mi congratulo con te mentre t’invio un abbraccio caloroso. Mirka (Bianca 2007)
Grazie, cara amica, per questo tuo commento così generoso nei miei confronti. Che aggiungere? Versi come quelli ungarettiani sui quali ho meditato sono davvero “inebriate espansioni d’anima”, come osservato testualmente da Giuseppe De Robertis nel breve studio sul poeta da me citato nell’articolo. Così ho cercato di mettere a fuoco una poesia, PREGHIERA, essenziale, credo, per comprendere al meglio il senso della ricerca poetica di Ungaretti. Un abbraccio
Non c’è che dire, caro Andrea, la tua lucidissima analisi del testo poetico ungarettiano lascia senza parole. Data la tua naturale capacità di percepire il valore della fusione tra l’uomo e il poeta, hai scelto una poesia stupenda, che è tale, a parer mio, non solo per perfezione e innovazione metrica, ma anche per la semplicità e il coraggio e la piena consapevolezza del suo autore ( Uomo di pena, per l’appunto); quando, attraverso la poesia, egli rivolge la sua umanissima invocazione al Signore.
Un abbraccio. Rob
Grazie, Roberto, per questa tua testimonianza. Non posso che riconoscere quanto segue: con PREGHIERA ho trovato, più che mai, la lirica che faceva al caso mio in un momento tuttora difficile della mia esistenza. L’intelligenza critica del testo da me dimostrata, è solo il corollario di una immedesimazione profonda, misteriosa e astrale coi versi di Giuseppe Ungaretti. Un abbraccio.
Carissimo Andrea, interessante davvero è stata la tua relazione ungarettiana a conclusione della rassegna letteraria “Tra Mito e Storia”, da me curata per conto dell’Assessorato alle Politiche Culturali della Città di Frascati. Il citato incontro, svoltosi come gli altri nella Sala degli Specchi del Municipio del noto centro castellano, ha inteso evidenziare l’importanza del mito e della storia nella poetica ungarettiana. Ho trovato illuminante la metafora di Carlo Bo, da te intelligentemente riportata, dell'”albero nudo e solitario” dell’ALLEGRIA, che si trasforma nella “vasta e ossigenata selva poetica” del SENTIMENTO DEL TEMPO. Questa stupenda metafora sta per l’appunto a significare, da un lato la rivelazione essenziale e scabra dell’Essere nelle stagioni aurorali del mito, e dall’altro il suo storicizzarsi, il suo incamminarsi nella cultura, con i rischi di logoramento e di flessione che inevitabilmente comporta tale ingresso nel tempo. Giuseppe Ungaretti si trova sempre ad un bivio e la sua poetica oscilla splendidamente fra Esistenza ed Essenza, fra bisogno di Storia e desiderio di Archetipi. Sta qui la sua grandezza più vera. Ti abbraccio.
Nel ringraziarti, Franco carissimo, per lo spazio che mi hai riservato all’interno della rassegna da te curata a Frascati lo scorso dicembre, non posso che citare le commoventi parole con le quali Carlo Bo ha voluto accompagnare alla tomba Ungaretti, il 4 giugno 1970: ” Giovani della mia generazione…in anni oscuri di totale delusione politica e sociale, sarebbero stati pronti a dare la vita per Ungaretti, e cioè per la poesia” (pag. LXIII dell’opera citata nel mio articolo). Ebbene sì: leggendo e rileggendo PREGHIERA, lirica sulla quale ho focalizzato la mia analisi della poetica ungarettiana, si ha davvero la percezione -credo- dell’assoluto candore di un poeta forse unico, nel nostro Novecento, nel non smarrirsi in logoranti guerre di posizione; in quanto concentrato sul battito del cuore, della poesia.Ti abbraccio anch’io.
Caro Amico,
ero presente alla bellissima serata della rassegna di Franco nel corso della quale hai chiuso gli interventi su Ungaretti con la tua analisi di alcune sue liriche storiche.
Ti sei soffermato su “Preghiera”, che trovo su misura per il particolare momento della tua esistenza, ma anche per la fase storica che ci troviamo ad attraversare.
Ungaretti invoca un ‘risveglio’ e … di quale risveglio avrebbero bisogno le nostre coscienze narcotizzate da un vivere alienante? Credo che ognuno di noi , nell’intimo, invochi un ‘peso leggero’ e non il fardello di ingiustizie, il buio, che come cappa greve, chiude la vista al futuro e rende pesante il testimone da passare alle nuove generazioni.
Ti sei soffermato sulla chiusa di questo cammeo ungarettiano, che echeggia i toni de “L’infinito” e ci hai concesso di sperare in una resurrezione morale.
E , al di là del contesto che ci circonda, il diritto di credere e di mantenere vivo il
‘grido’ che ci ha spalancato l’uscio della vita, credo sia un diritto che nessun tempo storico possa sottrarci.
Il nostro senso del ‘bene’ può contrastare il dilagare del male… per quell’armonia dei contrari che sta diventando cara a tanti.
Grazie infinite Andrea. Un intervento didattico e commovente il tuo!
Grazie a te, cara amica, per questa tua testimonianza a proposito della serata ungarettiana; serata nella quale ho cercato di trasmettere al pubblico presente il senso della folgorante bellezza delle poesie da te ricordate (PREGHIERA su tutte, a parer mio). Un abbraccio